Haiti, l'Onu ammette di aver causato l'epidemia di colera: «Pronti a risarcire i danni»

Ospedale Onu ad Haiti, gennaio 2010
di Anna Guaita
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Mercoledì 26 Ottobre 2016, 23:30 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 13:03
NEW YORK – Per oltre un secolo l’isola di Haiti non aveva mai avuto casi di colera. Si poteva dire che la terribile malattia fosse stata del tutto eradicata dal povero paese caraibico. E invece oggi il colera vi è diventato di nuovo endemico. Migliaia di persone ne sono state uccise, centinaia di migliaia ne hanno sofferto, innumerevoli famiglie sono state distrutte. E finalmente lo scorso agosto, le Nazioni Unite hanno ammesso che la colpa “morale” di questa catastrofe umanitaria è loro, e oggi confermano che intendono risarcire le persone colpite e tentare di respingere la malattia finanziando acquedotti e depuratori.

Il cambiamento nella posizione dell’Onu sulla questione è venuto dopo un’inchiesta indipendente che ha confermato le colpe dei caschi blu nepalesi nella diffusione di liquame infetto, nel 2010. Tuttavia, il marcia indietro dell’Organizzazione mondiale non soddisfa quasi nessuno. L’Onu difatti non accetta la responsabilità legale, ma solo morale della catastrofe. E promette di investire 400 milioni di dollari, una cifra molto inferiore a quella che le famiglie delle vittime avevano chiesto in tribunale.

Tutto risale al 2010, quando l’isola fu scossa da un terremoto che causò 300 mila morti. Il sisma colpì in gennaio, e i soccorsi furono di una inaudita difficoltà. Le Nazioni Unite avevano già una missione nell’isola la “United Nations Stabilization Mission In Haiti” o Minustah, che perse nel sisma molti dei suoi membri e dirigenti, sia militari che civili. Forse anche per questo, l’attività dei caschi blu che erano nell’isola non fu all’altezza che in altre catastrofi, in altri Paesi. Non solo ci impiegarono settimane a organizzare soccorsi alimentari e medici, ma pochi mesi dopo, in ottobre, divennero colpevoli di qualcosa di estremamente grave: i 454 membri del contingente del Nepal, accasati lungo il fiume Meille, permisero che gli scoli sanitari finissero nelle acque del fiume. Entro poche settimane, si cominciarono a registrare nella popolazione i primi casi di colera. Nel Nepal c’era infatti la malattia e alcuni caschi blu erano portatori del virus, che così mise radici anche ad Haiti.

Ma l’Onu ci ha impiegato sei anni ad ammettere che l’epidemia scoppiata quell’ottobre, che dilaniò un’isola già in ginocchio per il terremoto, era colpa sua. E pur avendo ammesso la colpa, ha comunque rifiutato di accettare responsabilità legali, appellandosi alla propria immunità diplomatica. Il rifiuto si spiega anche perché l’Onu «gestisce centinaia di missioni in luoghi di estrema povertà e incertezza» dice il vicesegretario Jan Eliasson, e creare dei precedenti potrebbe esporre l’Organizzazione mondiale, e i suoi membri, a continue ed enormi quantità di «costosi reclami».

Tuttavia, siamo agli ultimi mesi del secondo mandato del Segretario generale Ban Ki moon, e il sud coreano non vuole lasciarsi alle spalle un cancro irrisolto come questo. Da qui l’impegno di trovare una soluzione. I 400 milioni di dollari, che dovrebbero essere raccolti fra i Paesi membri, dovranno andare per metà a risarcire le famiglie e le comunità più colpite dal colera, l’altra metà deve andare a costruire depuratori e acquedotti per garantire all’isola l’igiene indispensabile a sconfiggere il virus. L’intervento è urgente: quando Haiti è stata colpita dall’uragano Matthew lo scorso 7 ottobre, non solo ha dovuto contare altre centinaia di morti per il disastro naturale, ma ha registrato anche una riesplosione del virus. Se non si agirà presto, il colera resterà endemico in un Paese che già vanta il tragico primato di essere il più povero dell’emisfero occidentale.

 

 

 
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