Cina, un gigante malato di velocità

Cina, un gigante malato di velocità
di Sebastiano Maffettone
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Martedì 12 Dicembre 2017, 08:47 - Ultimo aggiornamento: 13 Dicembre, 13:03
Se volete capire qualcosa della Cina di oggi una buona idea è quella di visitare lo Schwarzman College a Pechino. Situato nel campus dell'Università di Tsinghua, l'università che fu di Mao e resta la più prestigiosa del paese, questo College è forse il luogo che idealmente rappresenta meglio il desiderio di cambiamento della Cina. Finanziato da capitali statunitensi d'accordo con il Partito Comunista Cinese (il Pcc), l'istituzione programma la formazione di futuri leader globali. In questo modo, si imitano programmi famosi già esistenti in cattedrali dell'accademia quali Oxford e Harvard. Ma quello di Schwarzman è più moderno e meglio finanziato. E, quello che più conta, l'idea base è che i futuri leader del mondo, per essere tali, volenti o nolenti dovranno conoscere gioie e dolori del Paese di mezzo.

IL SORPASSO
La Cina cresce a vista d'occhio, non solo economicamente. Due anni fa per la prima volta nella storia è stato il Paese in cui si sono vendute più automobili nel mondo, superando gli Stati Uniti. Le città diventano sempre più piene di grattacieli, di strade a sei corsie e di ponti di lunga gittata. Il traffico è intenso, il ritmo del business vorticoso. La skyline di Shanghai compete oramai con il lungolago di Chicago, e finanza e dot.com imperano sui mercati globali. Anche per questo il XIX Congresso del PCC si è da poco concluso nel segno del trionfo per il Presidente Xi Jinping. Più che il rinnovo, largamente atteso, nell'incarico di Segretario Generale del Partito, è l'inclusione del suo pensiero nel canone teorico dell'ordinamento socialista della Repubblica Popolare, sin ora riservato in questi termini al solo Mao, a dare la misura del suo successo. Non è un evento rituale, come dimostra il fatto che i suoi immediati predecessori Hu Jintao e Jiang Zemin non avevano avuto un onore di tale portata.

IL PREZZO
Ci sono comunque prezzi da pagare a fronte di uno sviluppo eccezionale ma spesso anche disarmonico. L'inquinamento urbano, per esempio. Provate a fare jogging nel centro di una città cinese e ve ne accorgerete. E la corruzione, come del resto è tipico delle economie statalistiche, imperversa. Sorprendente è però la rapidità decisionale cui si reagisce. Troppo smog? Sono state abolite le motociclette tradizionali, e ora si può marciare solo su quelle elettriche. Troppa densità di popolazione? A Pechino è diventato impossibile chiedere la residenza, perlomeno se non si hanno amicizie politiche altolocate. In sostanza, il primo pregio del regime capital-comunista guidato dal Pcc consiste proprio nella velocità delle decisioni strategiche, cosa che in un mondo come quello di oggi conta molto. Assieme ai tempi brevi delle decisioni, colpisce la capacità di vedere lontano che il Partito sembra avere. Nel recente XIX Congresso, Xi Jinping ha dichiarato che i principali obiettivi di politica economica saranno realizzati nel 2050. Immaginate quanto sia pensabile una prospettiva del genere in Italia, dove i sei mesi costituiscono già una meta ambiziosa. Velocità e durata dunque sembrano essere così il segreto del successo di quello che oramai si può chiamare il China Model.

In che consiste questo modello politologico e culturale, cui peraltro è dedicato il prossimo numero della rivista Philosophy & Public Issues (Luiss University Press)? Sostanzialmente in un metodo di selezione delle élites. Invece della classica democrazia basata sul principio una persona-un voto il metodo cinese prevede una strategia duale. Ai livelli politici bassi si vota, a quelli alti si è nominati, con il risultato che spesso i leader di livello esprimono notevole qualità e corrispondono in qualche modo a un ideale meritocratico. Ora, la tendenza più recente dell'intellighenzia non solo locale sembra volere far coincidere la crisi evidente della democrazia occidentale con il relativo successo del modello cinese. Una tesi del genere ovviamente piace molto al Partito. Competenza, efficienza, autorevolezza morale sarebbero così le caratteristiche del vero dirigente del Partito e in genere le basi confuciane di una leadership che oggi come oggi si considera globale a tutti gli effetti.

IL RAPPORTO
Il contenuto del rapporto di Xi Jinping al XIX Congresso non si discosta dalle anticipazioni della vigilia. A cominciare dalla consueta rassegna dei risultati conseguiti negli ultimi cinque anni misurati secondo parametri corrispondenti in altrettanti traguardi storici: realizzazione degli obiettivi prefissati di sviluppo economico; approfondimento delle riforme finalizzate all'ammodernamento del sistema di governo del Paese; consolidamento della democrazia socialista basata sul rispetto della legge; affinamento della riflessione ideologica alla base del socialismo con caratteristiche cinesi ed espansione della sua attrattività culturale; miglioramento nei livelli medi di qualità della vita; progressi nella salvaguardia ambientale e nella costruzione di una civiltà ecologica; riorganizzazione e rafforzamento dell'Esercito Popolare di Liberazione (Pla); tutela e promozione del principio di unicità della Cina nelle relazioni con Hong Kong, Macao e, pur con le sue specificità, Taiwan; incremento del prestigio internazionale.

Da questo ultimo punto di vista, i cinesi si confrontano solo con gli Stati Uniti. Sostanzialmente, perché stanno preparandosi nelle loro intenzioni - a sostituirli come Paese guida. La conclusione alla fine del confronto è di solito abbastanza manichea: gli Stati Uniti rappresentano una società ingiusta e materialistica, e in Cina invece risplende il sol dell'avvenire. Ma nella Cina di oggi non ci sono solo luci, ma anche tante ombre. Come abbiamo già detto, l'economia tira, ma fino a quando continuerà a correre a ritmi inusitati? Si teme che prima o poi la deflazione planetaria e l'aumento del costo del lavoro avranno i loro effetti frenanti sul sistema. C'è inoltre un diffuso timore di una bolla speculativa, che dall'edilizia si possa spostare all'economia nel suo complesso. L'enfasi sulla lotta all'inquinamento e alla corruzione di cui si è detto mostra tra le altre cose come si cerchi di spostare l'attenzione dalla quantità alla qualità dello sviluppo, confermando indirettamente le preoccupazioni sul futuro economico.

Al di là delle questioni economiche, i problemi principali della Cina vengono però dal fatto che ancora oggi le libertà civili e politiche, per usare un understatement, languono. Non si può nemmeno pensare di fare politica al di fuori del Partito da queste parti. Le speranze di chi credeva che con la crescita economica e la nascita della classe media si affermassero anche i diritti individuali e la rule of law sono andate sostanzialmente deluse. Al di là della politica nessuno studioso che tiene al suo posto di lavoro pubblicherebbe uno scritto critico del regime, e persino gli studenti stranieri sono marcati a vista. Il Pcc insiste con orgoglio sul consueto fine di «schiacciare le mosche e combattere le tigri», ma le restrizioni politiche rendono il modello cinese molto meno attraente di quanto la propaganda martellante e un regime ancora spaventato dalla fine dell'Urss ci vogliano far credere.
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