Il presidente secessionista Carles Puigdemont ha annunciato venerdì data e quesito - «Volete che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di repubblica?» - nonostante veto e diffide del premier spagnolo Mariano Rajoy, che ha definito «anticostituzionale» e «illegale» il referendum, affermando che lo impedirà con «tutti i mezzi» a sua disposizione: «Non si farà!». Lo scontro sembra inevitabile. «Noi catalani il primo ottobre voteremo per decidere il nostro futuro», ha garantito Guardiola, portavoce dalle sigle della società civile indipendentista, Anc, Omnium e Ami.
L'icona del calcio catalano, oggi tecnico del City, ha lanciato un appello al mondo perché appoggi il referendum di autodeterminazione, come in Scozia e Quebec. «Chiediamo alla comunità internazionale di aiutarci!». «In questa ora tanto importante per la storia del nostro paese», ha spiegato Pep, «la sola risposta possibile è votare, non c'è altra via d'uscita». In mezzo alla folla Puigdemont, Forcadell, tutti i ministri e i deputati indipendentisti. Certo non la pensa così il palazzo della politica spagnola. La costituzione approvata nel 1978, fra dittatura e democrazia, non prevede la secessione di una regione. Rajoy, con l'appoggio di tre dei quattro grandi partiti spagnoli - Pp, Psoe e Ciudadanos - ha detto che «non può e non vuole» permettere il referendum. Solo Podemos accetta il diritto all'autodeterminazione catalana. Divisi sull'indipendenza, i catalani però al 72% vogliono votare. E un terzo circa dell'intera popolazione spagnola è d'accordo. Duro, Guardiola ha denunciato «la persecuzione politica» messa in atto dallo Stato spagnolo contro i dirigenti catalani, «indegna del XXI secolo».
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