Catalogna, Rajoy sospenderà l’autonomia

di Lucio Sessa
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Venerdì 20 Ottobre 2017, 00:15
Scrive Immanuel Kant nel 1781: «Il tempo nostro è il tempo della critica, cui tutto deve sottostare. Vi si vogliono comunemente sottrarre la religione e la legislazione».

«La prima con il pretesto della sua santità - prosegue Kant - e la seconda con il pretesto della sua maestà. Ma in tal modo esse dànno adito a sospetti giustificati e non possono pretendere quella stima che la ragione concede solo a ciò che ha saputo resistere al suo libero e pubblico esame».

Mariano Rajoy e il suo governo, invece, da anni stanno letteralmente barricandosi dietro la legge, che, a sua volta, sta agendo con la sicumera di chi è convinto della propria «maestà». La «legge» è impersonata, in questo caso, da Carmen Lamela, magistrato dell’Audiencia Nacional, che accogliendo le richieste della Procura spagnola ha ordinato l’arresto e la carcerazione preventiva di Jordi Sánchez e di Jordi Cuixart, presidenti rispettivamente dell’ANC e di Òmnium Cultural, due organizzazioni della società civile catalana.

L’accusa è quella di «sedizione»: i due «Jordi» avrebbero, nello scorso settembre, fomentato la protesta contro gli agenti della Guardia Civil, mentre questi erano impegnati nella perquisizione degli uffici della Generalitat, alla ricerca di materiale referendario da sequestrare. Sono accusati inoltre di aver organizzato la logistica per l’attuazione della consulta illegale: ora, si può dire che in questo caso la carcerazione preventiva sia un’esagerazione, senza timore di offendere la «maestà» della Legge? Quali prove potrebbero inquinare, se hanno fatto tutto alla luce del sole e tra l’altro lo rivendicano? Si pensa che possano fuggire? 

Ora, è fin troppo ovvio che la legge, anche quando è discutibile, va rispettata, e quindi il governo Puigdemont è dalla parte del torto, perché, se tutti i cittadini devono rispettare la legge, come dice lo stesso Kant, a maggior ragione lo devono fare le istituzioni che proprio su di essa si fondano. Solo che la legge può essere criticata, e allora ricordiamo che tutto è partito il 28 giugno del 2010, quando la Corte Costituzionale ha sostanzialmente «bocciato» il nuovo statuto di autonomia catalano, che era stato approvato dal Parlamento spagnolo nel 2006, dopo faticose mediazioni tra la Generalitat e il governo nazionale, presieduto all’epoca dal socialista Zapatero. La maggior parte degli articoli dello statuto venne abolita a stretta maggioranza, con sei voti a quattro, e quel che offese i catalani fu il fatto che furono cancellati anche articoli presenti negli statuti di altre comunità autonome, come la Comunità Valenciana e l’Andalusia.

Perché è accaduto? Semplicemente perché gli statuti di autonomia di quelle regioni nessuno li aveva impugnati, come invece aveva fatto Rajoy, all’epoca all’opposizione, relativamente allo statuto catalano. (Ricordiamo che la composizione della Corte Costituzionale è per dieci dodicesimi di nomina politica, e qui l’illuminista francese Montesquieu, che auspicava l’equilibrio tra potere politico e potere giudiziario, avrebbe qualcosa da ridire). Da quel momento, è montata in Catalogna la marea indipendentista, che il governo Puigdemont ha colpevolmente cavalcato e non governato, ma il sentimento indipendentista è un dato reale, che coinvolge ormai milioni di persone, ed è cresciuto a dismisura negli ultimissimi anni e negli ultimissimi giorni, a partire dalla «militarizzazione» della regione decisa dal governo centrale. 

Gli ultimi arresti stanno completando l’opera. Ora, al di là della legge, possiamo liquidare questo crescente sentimento indipendentista come un’onda di irrazionalità fomentata da un governo irresponsabile e populista? E se il governo Puigdemont è stato tale, che dire del governo Rajoy e della stessa magistratura? Tutti stanno contribuendo a questa inattesa quanto avvilente deriva. C’è da dire che in questi anni il governo catalano ha più volte chiesto il dialogo al Presidente del Consiglio Rajoy, che si è sempre rifiutato di parlare con dei «fuorilegge». L’ultima proposta risale al 22 di maggio di quest’anno, quando Carles Puigdemont, il vicepresidente Oriol Junqueras e l’assessore Raül Romeva hanno organizzato una conferenza a Madrid, dal titolo «Un referendum per la Catalogna: invito a un accordo democratico», per spiegare le ragioni dei promotori della «consulta illegale». 

A tale conferenza erano stati invitati i rappresentanti di tutti partiti spagnoli, che però l’hanno sprezzantemente disertata, ad eccezione di Podemos; avrebbe potuto essere l’avvio di un processo «distensivo», però Madrid, per l’ennesima volta, si è arroccata dietro la «maestà» della legge. Ieri è scaduto l’ultimatum del governo Rajoy, che aveva intimato a Puigdemont di dire sì o no all’indipendenza; il presidente della Generalitat ha risposto con una lettera che si chiude così: «Se il Governo dello Stato persiste a rifiutare il dialogo e a continuare la repressione, il Parlament della Catalogna potrà procedere, ove lo ritenga opportuno, a votare la dichiarazione formale di indipendenza che non ha votato il giorno 10 ottobre». 

Non è uno spiraglio aperto dal leader catalano? Nella chiusa della lettera non si dice forse che il Parlament «non ha votato l’indipendenza»? Rajoy, naturalmente, lo spiraglio l’ha chiuso subito, anzi non l’avrà nemmeno visto, e ha convocato, per sabato prossimo, un Consiglio dei Ministri, in vista dell’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, che commissarierebbe la regione catalana. Ad eccezione di Podemos, le altre forze politiche, socialisti compresi, non hanno fiatato, stringendosi tutte al calore protettivo del «Codice». 
 
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