Timori pre-elettorali/ La cancelliera surgela la Ue, svolta bloccata sulla Russia

di Marco Gervasoni
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Venerdì 10 Febbraio 2017, 00:21
I banchieri hanno sempre esercitato un’enorme importanza politica, perché la gestione dello Stato e quella del denaro non sono mai disgiunte. Ma è solo di recente che abbiamo imparato a interpretare ogni dichiarazione di quelli centrali come segni annuncianti svolte. Due giorni fa, ad esempio, l’appoggio del capo della Bundesbank, Jens Weidmann, dipinto come l’arcinemico di Mario Draghi, al rilancio del “quantitative easing” è stato un preludio all’incontro svoltosi ieri tra la cancelliera Angela Merkel e il presidente Bce, vale a dire tra le sole due figure forti d’Europa, che nell’ultimo anno, anche se spesso per indiretta persona, avevano incrociato i fioretti.

Ed è ancora più significativo che a chiedere l’appuntamento sia stata la cancelliera tedesca. Merkel ha bisogno della politica monetaria della Bce per cercare di colmare le falle che si stanno aprendo nell’Ue, che si chiamino Brexit, le dichiarazioni degli ambasciatori di Trump, le voglie di uscita serpeggianti in altri Paesi (Francia, Olanda), la situazione greca tornata esplosiva. Può essere, come ha scritto qualcuno, che si tratti di un’alleanza anti Trump.
Di certo, come tutti i patti tra leader, configura uno scambio: il via libera di Merkel alla continuazione della politica della Bce in cambio dell’appoggio più solido possibile alla cancelliera come garante di quello che la Ue può o non può fare.

Quindi Europa a due o più velocità, come segnale che Bruxelles non è un organismo morto ed è capace di pensare il proprio futuro. Ma progetto rimandato al di là nel tempo, dopo che gli elettori avranno votato. Soprattutto quelli tedeschi, che secondo gli ultimi sondaggi paiono gradire molto il socialdemocratico Schulz. Merkel sembra dire: continuate ad affidarvi a noi, che cambieremo le cose, ma con calma e senza fretta. Per intanto prevale lo status quo. Solo che non viviamo in tempi normali, e quello che poteva avere senso pochi anni fa, una gestione prudente e accorta senza grandi afflati, con l’accelerazione di oggi rischia di lasciare la Merkel, e poi tutta l’Europa, con le gambe all’aria. L’impressione di status quo prevale pure nella politica estera della Ue, la cui bussola, tanto per cambiare, si trova a Berlino e che, nei rapporti con la Russia, è stata categorica: nessuna possibilità di togliere le sanzioni a Mosca, figurarsi se ammetterla al G7 di Taormina. Per le imprevedibili sincronie della diplomazia, si è infatti svolto ieri anche l’incontro londinese di Paolo Gentiloni con Theresa May. Dove il premier italiano ha dimostrato intelligenza strategica nel perseguire quell’asse con il Regno Unito che il suo predecessore aveva costruito con Cameron.

Da qui il dichiarare che il negoziato per l’uscita di Londra non deve essere «distruttivo», come invece lo vorrebbero, ad esempio, i francesi.
E però il nostro governo sembra sposare, nelle grandi scelte, l’attendismo della Merkel, nel valutare «irrealistica» qualsiasi possibilità di invitare Putin al G7, come aveva invece proposto su queste colonne Romano Prodi. Svetonio attribuiva all’imperatore Augusto il motto «festina lente» («affrettati lentamente») ma la condotta della Ue sembra improntata ai detti di un altro romano, a suo modo classico, anche se contemporaneo, Giulio Andreotti: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». E sarà anche un atteggiamento tipico della Merkel e della cultura politica della Bundesrepublik, votata a difendere i propri interessi nazionali e molto in subordine quelli europei. Ma non è detto che sia una condotta convincente. Gli elettori olandesi, francesi, tedeschi e magari italiani, potrebbero non voler più credere a cambiamenti sempre annunciati e mai veramente perseguiti.

 
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