Campus aperti/Le scuole indifese: l’America teme solo lo straniero

di Alessandro Perissinotto
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Venerdì 16 Febbraio 2018, 00:05
C’era una volta l’America, quella che sembrava sinonimo di futuro. Quella che guidava i destini. E  indicava la strada da percorrere. È un’America che non esiste più da molti anni, eppure, anche se ne siamo consapevoli, a ogni nuova sparatoria, a ogni nuova strage consumata negli Stati Uniti, rimaniamo sconcertati, come si rimane di fronte a chi si ostina a ripetere i propri errori, a chi si incaponisce a ripercorrere la stessa strada e a schiantarsi contro il muro che la chiude al fondo.

Secondo i dati forniti dall’associazione Everytown For Gun Safety, quella di San Valentino è stata la diciannovesima sparatoria in una scuola statunitense a partire dall’inizio dell’anno, grosso modo una ogni due giorni: che la vendita indiscriminata di armi vada fermata è ormai chiaro anche ai bambini. Ed è proprio una ragazzina, che si firma Sarah, a sintetizzare questo in un tweet postato ieri in risposta alla “condoglianze e preghiere” diffuse dal presidente Trump: “Non voglio le sue condoglianze, f****to pezzo di m***a, i miei amici e i miei professori sono stati colpiti, molti dei miei compagni di classe sono morti. Faccia qualcosa invece di offrire preghiere. Le preghiere non aggiusteranno le cose, ma il controllo delle armi potrà evitare che questo succeda ancora”.

<HS9> I motivi che inducono Trump (e molti suoi predecessori) a non ascoltare questi appelli turandosi le orecchie con i ricchi tappi forniti dalle lobby dei costruttori di armi sono abbastanza facili da comprendere; molto più difficile è invece capire perché una parte cospicua degli americani lo segua e un’altra parte, in fondo, lo tolleri. C’è, credo, in questa rassegnata accettazione delle carneficine, una sorta di gioco tra l’innocenza perduta e l’innocenza ritrovata. Ogni volta che la morte entra in una scuola o in un’università, c’è una perdita di innocenza: il luogo sacro dell’infanzia, della giovinezza è stato violato e niente sarà più come prima. Il 19 marzo del 2012, Mohammed Merah compie un attentato alla scuola ebraica di Tolosa, nel sud della Francia; da allora, nelle scuole francesi niente è più come prima: gli accessi sono sorvegliati e in molti istituti sono stati collocati tornelli di ingresso; l’innocenza perduta non si ritrova. Al contrario, gli Stati Uniti sembrano ritrovarla ogni volta. Nel tweet di condoglianze contestato dalla ragazzina, Donald Trump scrive: “I ragazzi, gli insegnanti e tutte le altre persone dovrebbero sentirsi sicuri in una scuola Americana”. 

<HS9>Il fatto è che le persone si sentono realmente sicure, nonostante le sparatorie ogni due giorni, nonostante le stragi; il fatto è che, ogni volta, l’America sembra ritrovare la sua innocenza. Nel mese di gennaio appena trascorso, ho insegnato in un’università del Colorado. Il campus, ai confini della città, è meraviglioso, pieno di spazi aggregazione, di impianti sportivi, di giardini, di viali alberati nei quali passeggiare. Tutti gli edifici, tutte le aule, persino le sale riunioni storiche (l’ateneo è del 1864), sono accessibili a chiunque e se uno studente vuole mettersi a studiare davanti all’ufficio del Rettore può farlo liberamente: è questa l’innocenza. Eppure, a 11 chilometri da lì, in direzione sud-ovest, c’è la Columbine High School e alla Columbine High School, il 20 aprile del 1999, morirono in 15 tra studenti e professori, uccisi a colpi di mitragliatore da due allievi della scuola stessa. Se invece, sempre partendo dal campus, ci si muove in direzione nord-est, dopo 11 chilometri si arriva nella cittadina di Aurora dove, nel 2012, l’allora venticinquenne James Holmes uccise con raffiche di mitra 12 persone che assistevano alla prima del film “Il cavaliere oscuro”.

Malgrado la vicinanza, nel tempo e nello spazio, di questi episodi, non c’è nel campus nessuna forma di controllo degli accessi; in un Paese dove chiunque può comprare armi per sterminare esseri umani a centinaia, l’area universitaria non è dotata, non dico di metal detector, ma neppure di una portineria in grado di dare l’allarme all’approssimarsi del Rambo di turno: l’ostinazione dell’innocenza, un’ostinazione che non appartiene a Trump, ma alla nazione intera, alla sua storia remota e soprattutto recente. E alla storia recente del Paese appartiene anche un’anomala percezione del pericolo, una percezione che, più che su dati reali, sembra basarsi su immaginario ben nutrito di pregiudizi sociali. Per raggiungere il campus dal centro cittadino io prendevo una sorta di metropolitana di superficie, sebbene in albergo mi avessero vivamente sconsigliato l’uso dei mezzi pubblici: “very dangerous”. In effetti, il controllore, a bordo delle vetture, indossava il giubbotto antiproiettile e, alla cintura, portava pistola e manganello; la guardia che manca a presidio del campus (e la situazione è uguale ad Harvard, all’MIT e in ogni altra università dove sono stato) è invece presente sulla metro, come a ribadire che, a dispetto di qualsiasi evidenza, scuole e atenei sono luoghi dove “ci si deve sentire sicuri”, perché frequentati dalla upper class.

Sui mezzi pubblici invece il rischio è cosa normale: siamo o non siamo nel territorio dei poveri e degli immigrati? E proprio dal confronto con l’immigrato, con lo straniero, la retorica dell’innocenza trae conforto. 
<HS9>Per capire questa dinamica basta cogliere la sproporzione tra i controlli di sicurezza riservati agli stranieri che entrano negli USA e quelli, inesistenti, a tutela delle scuole: la minaccia viene sempre dall’esterno, dallo straniero e quando la strage è compiuta da mano inequivocabilmente americana, la stessa retorica le assegna una diversa dimensione dell’estraneità, la pazzia. In un altro tweet, Trump sottolinea come l’assassino fosse “mentalmente disturbato” e la stessa cosa aveva fatto in occasione della strage di Las Vegas: di certo su questo il presidente non sbaglia, ma il messaggio non va letto nel suo significato più ovvio, bensì nella sua allusione all’assassino come straniero.

L’assassino era un pazzo, un alienato, quindi un alieno, uno straniero: dai bravi americani non abbiamo nulla da temere e possiamo continuare a vendere loro le armi. Isolati i pazzi e dimenticati i savi che li hanno armati, l’innocenza è ritrovata, fino alla prossima mattanza.
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