Calais, scontri migranti-polizia durante lo sgombero della tendopoli

Calais, scontri migranti-polizia durante lo sgombero della tendopoli
di Francesca Pierantozzi
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Lunedì 29 Febbraio 2016, 16:04 - Ultimo aggiornamento: 1 Marzo, 08:31

PARIGI - Pierre-Yves non ci può credere: guarda i lacrimogeni che cadono come fuochi d'artificio a pochi metri da decine di bombole di gas ammucchiate davanti a uno dei “bar” della giungla. «Che fa la polizia? Così salta tutto. Perché?». Pierre Yves nella giungla ci abita da mesi. Ha 19 anni, non è un migrante, ha un passaporto francese in tasca, ma qui, dice, si «trova bene». Sono le sette di sera. Da due ore è cominciata la guerra sulle Landes, il quartiere sud della giungla di Calais, l'ultimo avamposto continentale dei migranti che sognano l'Inghilterra. Doveva essere uno sgombero «pacifico», un atto «umanitario»: eliminare questo lembo di sabbia e baracche dove da un anno si intasano tremila (la prefettura dice mille) migranti, ragazzi, donne, bambini, iraniani, iracheni, afghani, curdi. È il “quartiere” meno salubre dell'immensa bidonville sorta sulle rive industriali e inquinate di Calais. Una vergogna nella vergogna. Le autorità avevano promesso di agire con calma, di privilegiare il dialogo.


 E fino al primo pomeriggio, le demolizioni sono andate avanti senza problemi. Programma della giornata: smantellare una ventina di baracche su un'area di cento metri quadrati. Con questo ritmo, in meno di una settimana il quartiere dovrebbe sparire. E i “residenti” (o almeno una parte) redistribuiti in container e centri di accoglienza.
L'INCIDENTE

Ma poi c'è stato il lacrimogeno. È caduto su una tela di plastica blu che ha preso fuoco. Quel telo blu era il tetto della casa di una famiglia curda. Certo doveva essere demolita, ma vederla andare in fiamme è sembrato insopportabile. E sono partiti i primi lanci di pietre. «Inglesi, sono militanti no border» dice la prefetta del Pas de Calais Fabienne Buccio. La maggior parte dei ragazzi del campo guardano gli scontri senza nemmeno coprirsi la faccia quando i celerini lanciano i lacrimogeni. Loro non tirano pietre. In mezzo agli scontri, agli spari, alle urla, Kheitar, arrivato dal Kurdistan, mangia con calma un pugnetto di M&M's, ne offre uno e dice sottovoce, quasi che il tono gentile possa disturbare la guerriglia che impazza intorno: «Io voglio solo andare in Inghilterra, e ci andrò. Sicuro». Sorride.
LA GUERRA

Ormai lo sgombero è finito, almeno per la giornata. Sul piazzale di terra, sabbia e sterpaglia dove stavano le baracche demolite, adesso si fa la guerra. L'intera bidonville è circondata dalle camionette dei Crs, gli agenti antisommossa. Si temono rivolte, certo, ma si teme soprattutto che gli sfollati approfittino della confusione e della notte per lanciare un assalto più violento del solito sui tir che sfrecciano proprio lì sopra, sull'autostrada che porta ai traghetti. Dall'altra parte del braccio di mare scuro, oltre le dune, C'è l'Inghilterra. «Ma ormai nessuno riesce più a passare - dice Sébastien, volontario dell'associazione Auberge des Migrants - la giungla è blindata». Tutti i volontari che da anni lavorano sul campo sono d'accordo: la bidonville, almeno questa parte a sud, va smantellata, ma non così, non subito, non senza aver pensato a una risistemazione delle famiglie. Ieri, per esempio, dei cento “sfollati” soltanto una quarantina ha accettato di prendere posto nei container bianchi sistemati un po' più a nord. È un quartiere “nuovo”, all'entrata ci sono i tornelli, è sorvegliato da guardie, ma dentro è quasi vuoto. «Di una sessantina di persone non abbiamo notizie - diceva ieri sera Sebastien - magari stanno cercando rifugio in altre tende, o allora cercano di venire in città, o magari stanno cercando di passare il confine, per l'ennesima volta, ma con più rabbia». Se continuerà così, alla fine dello smantellamento, potrebbero essere «quasi duemila i migranti che si ritroveranno in giro».
La maggior parte degli abitanti della giungla sembra indifferente alla guerra che si svolge appena oltre la rete. È calata la sera, le “strade” della bidonville si animano. I bar hanno tutti le luci accese, ma quasi tutti stanno fuori, gruppetti di ragazzi intorno a bidoni in cui ardono fuochi. Del quartiere-sud, la prefettura ha promesso di salvare gli edifici “pubblici”: la scuola (il cartello recita: école des arts et metiers, scuola delle arti e dei mestieri), la biblioteca e il “museo”.
Forse risparmieranno anche una potente Tour Eiffel fatta interamente di lattine. Mohamed, afghano, alza le spalle: «Sai quanto sarà utile la scuola e la biblioteca in mezzo alla sabbia, quando avranno buttato giù tutto». E anche se butteranno giù la parte sud, resterà ancora la parte nord. Altre 4mila persone. I “residenti” sembrano molto più determinati dei militanti inglesi che continuano a lanciare pietre e a scontrarsi con la polizia a qualche centinaio di metri. Hanno fatto viaggi lunghissimi, hanno visto ben altro che lacrimogeni. «Se hai perso il treno - dice Mohamed - puoi dormire qui, c'è posto per tutti».

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