Brexit, l’occasione per l’Italia di affermarsi in Europa

di Massimo Teodori
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Mercoledì 29 Giugno 2016, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 00:13
Non è solo la nazionale di Antonio Conte a promettere ottimismo per l’Italia in Europa. Di fronte allo sconvolgimento della Brexit, il nostro Paese sembra reagire senza complessi nonostante le montagne russe della Borsa. Il premier Matteo Renzi ha partecipato alla riunione con Angela Merkel e Francois Hollande, quasi a sottolineare che con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione sono tre le nazioni che contano. Non si tratta, certo, del direttorio dell’Europa, perché tale figura non esiste, ma il segno non marginale che i giochi dell’Europa non potranno essere lasciati nelle mani dell’eurocrazia di Bruxelles. 

Il fatto che il nostro capo del governo sia stato invitato all’incontro ristretto che ha preceduto il plenum del Consiglio dei leader dei 27 Paesi dell’Unione Europea promette bene nel momento in cui l’Italia ottiene un’affermazione internazionale, essendo stata scelta in rappresentanza dell’Europa - in staffetta con l’Olanda - per uno dei dieci seggi non permanenti nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il palazzo di vetro delle Nazioni Unite non è la cabina di regia degli affari internazionali ma fare parte del suo organo dirigente dopo otto anni di assenza rappresenta pur sempre il riconoscimento del peso del nostro Paese in Europa e nelle missioni dei caschi blu, oltre alla giusta ricompensa per l’opera umanitaria che stiamo svolgendo nel salvataggio e nell’accoglienza dei migranti del Mediterraneo.

Il destino europeo è iscritto nel Dna della nostra tradizione. Sessant’anni fa fummo tra i fondatori della Comunità europea formata da sei Stati (Francia, Italia, Germania e Benelux) grazie alla lungimiranza del democristiano Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, del liberale Luigi Einaudi, ministro del Tesoro poi presidente della Repubblica, e del repubblicano Carlo Sforza, ministro degli esteri. Così, dalle macerie del fascismo e della guerra, l’Italia rinacque inserendosi nel gruppo di testa dei Paesi sviluppati. L’Europa e l’Alleanza atlantica con gli Stati Uniti furono la chiave del boom economico e della nuova dignità nazionale.

Oggi, dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, può forse nascere qualche nuova opportunità per l’Italia. Certo, la questione europea non dovrà restare uguale a se stessa mentre l’esplosione dei populismi ostili sta a significare che nella costruzione dell’Unione Europea vi sono state non poche distorsioni. Quella che doveva essere un’istituzione federale è divenuta una macchina basata sulla moneta e sulla finanza alimentata da un elefantiaco motore burocratico, più attento alla regolamentazione delle minuzie che non alla visione d’insieme. Oggi, l’Unione europea è troppo finanza e poco istituzione, troppo burocrazia e poco democrazia. 

L’Italia ha ora l’opportunità di svolgere un ruolo con maggiori responsabilità di iniziativa e proposta. Alcuni obiettivi sono stati già abbozzati in questi giorni. La stabilità monetaria non può continuare ad essere un tabù che scoraggia la crescita e condiziona l’occupazione. Gli investimenti anche pubblici divengono necessari per rimettere in moto l’economia al di là del falso mito dello pseudo- liberismo, come ha fatto il presidente Obama negli Stati Uniti, la nazione del free market per eccellenza. 

E l’Italia, oggi, grazie al ruolo di terza potenza d’Europa, è in grado di porre con decisione la questione dei confini che non sono più nazionali ma comuni alla vasta area abitata da cinquecento milioni di europei. L’inevitabile immigrazione di massa in fuga dalle guerre e dalla fame nel sud del mondo non può più essere affrontata con palliativi a Roma e ad Atene, ma deve trovare una soluzione a Bruxelles con l’accordo dei maggiori Paesi. E lo stesso vale per la difesa e la sicurezza che possono essere assicurate solo con la massima cooperazione degli Stati vigili sul terrorismo. 

Certo, nel possibile nuovo ruolo in Europa, l’Italia deve affrontare con energia i suoi punti deboli più di quanto abbia fatto finora. Nell’attuale crisi è emersa l’inefficienza del sistema bancario, per troppo tempo mantenuta nascosta, così come la gravità del debito pubblico appesantito dal clientelismo e dalla corruzione soprattutto negli enti regionali e locali. Ma gli italiani alimenterebbero l’illusione di divenire un punto di riferimento per le risorse che abbandonano la Gran Bretagna se non si preoccupassero di eliminare le storiche incrostazioni della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario che pregiudicano il civile rapporto tra cittadini, imprese e Stato.
 
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