Brexit, Londra choc: «Bisogna schedare i lavoratori stranieri»

Brexit, Londra choc: «Bisogna schedare i lavoratori stranieri»
di Cristina Marconi
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Giovedì 6 Ottobre 2016, 07:48 - Ultimo aggiornamento: 23:21

Ha lanciato un attacco al «capitalismo irresponsabile» e ha annunciato un rilancio dei settori industriali strategici da parte dello Stato, con l'obiettivo di portare i Tories al centro e farne il partito della classe lavoratrice, «ripristinando la giustizia» dopo la «rivoluzione tranquilla» del referendum del 23 giugno scorso sull'Unione europea.

SEGNALE FORTE
Così Theresa May, primo ministro britannico, ha delineato la sua idea di paese nell'ultimo giorno di una conferenza Tory a Birmingham in cui sia l'inquilina di Downing Street che i suoi ministri hanno voluto dare un segnale molto forte in materia di immigrazione: non solo May ha lasciato intendere che preferisce rinunciare all'accesso al mercato unico se questo significa non avere controllo sulla libera circolazione dei lavoratori, ma ha messo in evidenza il concetto di «spirito di cittadinanza» che fa sì che «si riconosca il contratto sociale secondo cui si formano i giovani del posto prima di rivolgersi al lavoro straniero a basso costo».
Parole più morbide rispetto a quelle, molto criticate, del ministro dell'Interno Amber Rudd, che martedì ha suggerito che le aziende siano costrette a fornire una lista dei propri dipendenti stranieri e che questi ultimi non dovrebbero «essere in condizione di prendere i lavori che i britannici possono fare», suscitando le ire di tutte le associazioni che rappresentano i datori di lavoro. Rudd ha fatto un passo indietro, ma ha comunque auspicato che «si possa avere un dialogo sul tipo di talenti che vogliamo accogliere nel paese». Nei giorni scorsi anche il ministro della Salute Jeremy Hunt ha espresso posizioni dure, annunciando il piano di rendere il servizio sanitario nazionale Nhs autosufficiente grazie alla formazione di 1.500 nuovi medici britannici all'anno in grado di sostituire la forza lavoro straniera da cui la sanità britannica dipende fortemente.

OPPOSIZIONE DEBOLE
Con un'opposizione indebolita dalle lotte interne al Labour guidato da Jeremy Corbyn, dai LibDem quasi cancellati dalla mappa politica e da uno Ukip che dopo le dimissioni di Diane James dopo meno di 20 giorni alla guida del partito è tornato nelle mani di Nigel Farage per evitare la dissoluzione, Theresa May sta cercando di occupare il campo libero che si ritrova al centro con delle misure che prevedono una mano statale più pesante di quella a cui i Tories sono abituati, un'attacco frontale alle elites liberali e al mondo della finanza, con la promessa che «sta arrivando un cambiamento» e una critica alla «medicina d'emergenza» dei «tassi d'interesse bassissimi e del quantitative easing», colpevoli di aver scavato ulteriormente le disuguaglianze. Un punto, quest'ultimo, con cui la May è venuta meno alla tradizionale separazione tra governo e Banca d'Inghilterra, che ad agosto ha abbassato i tassi allo 0,25%.

La May, conservatrice dalla provenienza sociale infinitamente più modesta rispetto al suo aristocratico predecessore David Cameron, ha deciso di affrontare il problema delle disuguaglianze sociali con tutti i mezzi, a partire dalla reintroduzione delle scuole pubbliche selettive per permettere agli studenti più bravi di fare degli studi ai livelli di quelli delle scuole private. Un altro punto su cui lo stato interverrà è la costruzione di infrastrutture e soprattutto di edilizia residenziale dai prezzi accessibili, di cui il paese e soprattutto Londra è drammaticamente a corto. In un attacco finale al capitalismo irresponsabile, May se l'è presa con «le imprese internazionali che vedono le leggi fiscali come facoltative» e ha promesso: «Vi avverto. Questo non può più andare avanti».