Barnier: «Sulla Brexit Londra deve accettare le condizioni della Ue»

Barnier: «Sulla Brexit Londra deve accettare le condizioni della Ue»
di Antonio Pollio Salimbeni
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Martedì 19 Dicembre 2017, 00:17 - Ultimo aggiornamento: 23:58

Le condizioni per accedere al mercato unico non sono negoziabili. E al di là del modello norvegese, che prevede l’applicazione delle norme Ue più importanti (le 4 libertà fondamentali della circolazione di persone, merci, servizi e capitali, il contributo ai fondi di coesione), «tutti gli altri modelli di relazione con la Ue comportano frizioni al commercio, controlli dalle regole di origine dei prodotti alla verifica degli standard». Non solo: nessun accordo commerciale definito dalla Ue finora «prevede un’apertura ai mercati finanziari». Quindi, «lasciando il mercato unico, il settore finanziario britannico perde automaticamente il passaporto finanziario» che permette di operare in qualsiasi stato Ue. A quel punto, non si potrà che applicare il regime di riconoscimento della regolazione finanziaria britannica da parte di Bruxelles.

Sono questi i messaggi del negoziatore Ue per la Brexit Michel Barnier che, in un incontro con un gruppo di giornalisti europei, ha chiarito i termini delle prossime discussioni. È un Barnier, come al solito, suadente nei modi e preciso, piuttosto duro nella richiesta a Londra di «fare chiarezza» su ciò che vuole assumendosi fino in fondo le responsabilità derivanti dalla Brexit. «Domani presenterò alla Commissione le linee guida per la transizione di due anni per permettere al Regno Unito di adattarsi alla Brexit».

Quando inizieranno le trattative?
«A fine gennaio. Per noi durante i 2 anni restano in vigore tutti gli obblighi Ue e il Regno Unito non parteciperà più alle decisioni. Se tutto fila liscio, e non dimentichiamoci che il tempo stringe, a marzo comincerà la fase 2 del negoziato. Obiettivo: bozza di accordo pronta a ottobre più la dichiarazione politica che preciserà il quadro. Ci sarà un progetto di trattato per il ritiro dalla Ue e poi ci saranno altri trattati: commercio, cooperazione su difesa e sicurezza, aviazione, cooperazione giudiziaria. A Londra si parla molto di accordo “Canada plus-plus-plus”, intesa commerciale simile a quella raggiunta con il Canada con molte aggiunte a partire dai servizi finanziari. La mia visione è questa: un accordo di libero scambio al quale se ne aggiunge uno su difesa/sicurezza, uno sull’aviazione e uno sulla cooperazione giudiziaria».

I 27 sono stati finora uniti, però il presidente Ue, Tusk sembra scettico sul futuro.
«L’unità dei 27 è fondamentale, vanno evitate discussioni parallele. Certo ci sono sempre dei rischi, però anche i paesi che hanno relazioni molto intense con il Regno Unito, come Olanda, Belgio, Danimarca e Spagna, considerano l’integrità del mercato europeo il bene più importante».

Come vede il negoziato a questo punto?
«Dalla notifica della Brexit si sono poste tre questioni e solo su una c’è stata chiarezza: l’impegno di Theresa May ad assumere le conseguenze della decisione di lasciare la Ue in modo ordinato. A questo è legata la fase 1 del negoziato su diritti dei cittadini, Irlanda e obblighi finanziari. La risposta è stata positiva e ci permette di continuare. Restano senza risposta due questioni: una riguarda il tipo di relazioni con la Ue che vuole Londra. Dobbiamo sapere se saranno confermate le “linee rosse” su recupero integrale della sovranità, stop alla giurisdizione della Corte di Giustizia, addio a mercato unico e unione doganale. Se così sarà il Regno Unito ne dovrà trarre semplicemente le conseguenze. Poi c’è il modello che si ha in mente. Mi preoccupa sentire il rappresentante al commercio Usa affermare che se i britannici vogliono convergere verso gli Stati Uniti dovranno divergere dalla Ue».

In concreto cosa significa?
«Lasciare mercato unico e unione doganale significa allontanarsi dal modello regolamentare costruito insieme, che riflette un modello di vita fondato su sicurezza sanitaria, principio di precauzione, economia sociale di mercato, diritti ambientali, parità di condizioni di mercato, regole per la finanza. Chiedo ai britannici: resterete coerenti con questo modello o ve ne allontanerete»?

Londra cerca di salvaguardare il settore finanziario aggirando lo scoglio delle 4 libertà fondamentali. Vede dei margini su questo?
«Non sono negoziabili le condizioni per accedere al mercato unico, ogni accordo con Stati non Ue ha il proprio equilibrio di diritti e di obblighi. La soluzione per non avere frizioni nei commerci è stare nel mercato unico, sotto questo profilo l’unico modello possibile è Norvegia-plus. Ma se si rifiuta la libertà di circolazione non si può far parte dello spazio economico europeo. Se parliamo di libero scambio c’è il modello Canada, che però non è la stessa cosa pattuita con la Corea del Sud o con il Giappone. Certo, nessun accordo commerciale Ue finora comporta un’apertura ai servizi finanziari. Non c’è nulla al di là dell’attuale regime delle “equivalenze” nella regolazione (con Giappone e Stati Uniti): e lasciando il mercato unico il settore finanziario perde automaticamente il passaporto che permette a una società di uno Stato Ue di operare in un altro Stato Ue».

Un Regno Unito “vicino” al modello europeo è condizione per un accordo di partnership economica forte?
«Ci sono rischi di divergenza nella regolazione, di dumping fiscale e non intendiamo correrli, la parità di condizioni nel mercato va garantita. Contrariamente al passato non dobbiamo incoraggiare la convergenza delle regole, ma occuparci delle divergenze e qui potenzialmente è tutto divergente: diritti sociali, ambientali, dei consumatori, condizioni dei mercati. Insomma, può essere a rischio il modello europeo di economia sociale di mercato. Penso che il modello britannico debba restare vicino al modello europeo. Oltretutto, i trattati futuri dovranno essere ratificati anche dai parlamenti nazionali: se non c’è un quadro sociale certo, credibile, anche la ratifica sarebbe a rischio».

Ci sono dei segnali che Londra cambi atteggiamento sulla vicinanza dei sistemi di regolazione?
«La risposta è nelle linee rosse stabilite a Londra: se restano le stesse, possono allontanarsi dalla Ue ma con effetti sulla cooperazione.

Non è questione di essere aggressivi, è che l’intensità della cooperazione economica condiziona la ratifica dei futuri trattati. Se ci sono le condizioni per una concorrenza fiscale sleale non può esserci cooperazione»

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