Rischi in aumento/ Grave errore rinviare l’esame della Brexit

di Romano Prodi
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Lunedì 4 Luglio 2016, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 00:11
Sono passati dieci giorni dal referendum popolare che ha deciso l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Una decisione inaspettata, che avevamo definito molto dannosa ma non tragica. In questi dieci giorni, a causa delle divisioni e delle indecisioni dei Paesi europei, si è invece fatto di tutto perché le conseguenze siano più pesanti di quelle che dovrebbero essere.
In fondo si era partiti bene. L’ipotesi di un incontro fra Renzi e Hollande per preparare poi una riunione a tre con la cancelliera tedesca era il percorso più saggio per camminare verso un’intesa fra tutti i 27 Paesi rimasti nell’Unione. Germania, Francia e Italia (ai quali dovrebbe aggiungersi la Spagna) rappresentano infatti quasi la metà della popolazione e superano di gran lunga la metà dell’economia dell’Unione. Tutto sembrava ben preparato ma, mentre vi è stato un concreto avvicinamento della politica fra Italia e Francia, anche per tenere conto dei problemi del Sud Europa, la Cancelliera tedesca, forte anche per il sempre più visibile appoggio americano, ha scelto strade diverse, riaffermando la sua scelta per un’Europa sempre meno federalista e sempre più intergovernativa, almeno nel delicato e primario campo dell’economia. Una scelta del tutto opposta alla dichiarazione firmata nelle stesse ore dai ministri degli Esteri tedesco e francese.
 
Dichiarazione che, col titolo evocativo di “per un’Europa più forte in un mondo incerto”, prevedeva nuove forme di collaborazione nel settore militare, nella sorveglianza comune delle frontiere, nell’emigrazione e, soprattutto, nell’armonizzazione delle economie. Nello stesso tempo rimanevano inascoltate le voci dei ministri dell’economia dell’Italia e della Francia che spingevano in direzione di una più coordinata politica dei bilanci e delle tesorerie dei Paesi europei.
Per aumentare la cacofonia, ancora nelle stesse ore, i rappresentanti di dieci Paesi, dall’Austria ai baltici, si riunivano mettendo sul tavolo un progetto per arrivare a un accordo su un’ulteriore diminuzione dei poteri della Commissione Europea, rendendo con questo possibile la ripetizione del referendum in Gran Bretagna, dato che il nuovo voto si riferirebbe ad un’Unione Europea sostanzialmente differente. Non ci dobbiamo quindi stupire che alla fine il Consiglio Europeo non abbia deciso nulla né sui tempi di attuazione della Brexit né sulle modalità e le conseguenze di questa uscita.
Per completare l’opera, il dibattito del Consiglio si è concentrato soprattutto sulla necessità di ribadire una totale assenza (senza forme di solidarietà aggiuntiva) del sostegno pubblico nei confronti del sistema bancario. Il tutto mentre la speculazione internazionale picchiava sodo sugli istituti di credito di tutti i Paesi europei, ferendo in modo ben più sanguinoso le banche dei Paesi finanziariamente più deboli, tra i quali l’Italia e la Spagna.

Le posizioni tedesche contro qualsiasi schema comune per l’assicurazione dei depositi e di irritazione nei confronti della Banca Centrale Europea per l’eccessiva riduzione dei tassi di interesse hanno avuto un’importanza più rilevante rispetto al ben più urgente e pesante problema della Brexit.
Uno spiraglio in questa cacofonia è arrivato dalla concessione all’Italia di potere ottenere dal Tesoro un sostegno alla liquidità delle banche in caso di situazioni estreme. Si tratta di un’ipotesi che difficilmente avrà applicazione, data l’abbondanza di liquidità esistente, ma è il segnale di una continuità di dialogo da tenere in riserva in caso di emergenza, anche se permane immutata la posizione tedesca riguardo gli aiuti di Stato e la ricapitalizzazione delle banche.
A dieci giorni dalla Brexit il riassunto più fedele della situazione è contenuto nelle brevi parole di Charles Grant che scrive semplicemente che «fino ad ora la narrativa è stata di disintegrazione e non di integrazione». È chiaro che, in questo quadro, il rinvio dell’esame delle conseguenze della Brexit è stato un grave errore, anche perché in autunno saremo già alla soglia della campagna elettorale in tre Paesi chiave dell’Unione Europea. Si voterà infatti nel marzo 2017 in Olanda, a maggio per le presidenziali francesi e, infine, a settembre, in Germania.
I futuri rapporti tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna verranno perciò pesantemente influenzati dai problemi e dagli interessi interni di tre protagonisti dell’Unione Europea, tutti appartenenti al piccolo numero dei padri fondatori e tutti caratterizzati da un progressivo indebolimento dei poteri tradizionali di fronte all’irruzione delle nuove forze politiche.

Bisogna quindi decidere il più presto possibile la direzione da imporre alle trattative sulla Brexit. Abbiamo di fronte a noi l’esperienza dei rapporti con la Norvegia che salvano il mercato unico, introducendovi alcune eccezioni in settori particolarmente sensibili come l’agricoltura, il fisco e le politiche sociali. Impresa non impossibile perché la Gran Bretagna godeva già di tante eccezioni. Impresa da iniziare in fretta nonostante il contrario parere germanico, perché i messaggi di ritardo hanno causato già troppi danni.
Gli inglesi forse sono stati coerenti con la loro storia e con i loro sentimenti profondi ma certo appare sempre più chiaro che hanno commesso un suicidio politico. È quindi opportuno chiudere queste riflessioni con una famosa frase di Churchill (non a caso ripresa dalla stampa in questi giorni) che ci ricorda che il problema vero di un suicidio politico è che ti lascia vivo per vederne le conseguenze. Aspettiamo quindi le prossime puntate.
 
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