Brexit, Cameron dà battaglia. Renzi: sono meno ottimista

Brexit, Cameron dà battaglia. Renzi: sono meno ottimista
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Venerdì 19 Febbraio 2016, 08:37 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 09:17
«Combatterò per la Gran Bretagna». David Cameron si presenta così al vertice europeo che deve sigillare quell'accordo che gli permetta di chiedere il sì alla permanenza del Regno Unito nel referendum-trappola da lui stesso voluto per vincere le elezioni a maggio e battere gli euroscettici dell'Ukip. Il leader dellgli anti-Ue Nigel Farage lo sbeffeggia: «È un Oliver Twist» che chiede concessioni. Che sono pronte, ma ancora non suggellate. Lo saranno forse oggi quando, dopo una notte di lavoro degli sherpa, i leader torneranno sul tema in tarda mattinata.

Matteo Renzi è cauto. «Qualche passo avanti, timido, sull'immigrazione. Qualche passo indietro su Brexit, su cui ora sono meno ottimista rispetto a quando sono entrato». La presidente lituana, Dalia Grybauskaite, non usa giri di parole per descrivere la situazione: «Penso che tutti faranno un po' del loro teatro, poi ci metteremo d'accordo». Ma se spira un ottimismo di fondo, alimentato da Tusk (alla Bbc dice che gli altri 27 «non hanno altra scelta» che trovare un accordo con Cameron) e dalla stessa Angela Merkel che si dice «felice di fare tutto il possibile perché il Regno Unito resti» ed è pronta a permettergli di »tornare a casa con quello di cui ha bisogno», sono almeno quattro gli scogli: la durata del freno di emergenza per limitare l'accesso al welfare dei nuovi arrivati nel mercato del lavoro, la sua non retroattività, la nozione di 'unione sempre più strettà e la richiesta di Londra di avere «condizioni specifiche» sulle norme macroprudenziali e sui poteri futuri di controllo delle authority europee per banche, istituti finanziari e assicurazioni della City.

Nel primo giro di tavolo - che dura tre ore e mezza - stando a quanto riferito da fonti che hanno seguito il dibattito, l'inquilino di Downing Street formalizza la sua richiesta per la durata del «blocco graduale» di accesso al generoso sistema di benefit britannici: sette anni, rinnovabili per due ulteriori periodi di tre anni ciascuno. E pure retroattivo. Uno stop di complessivi 13 anni, che per i paesi esportatori di manodopera è eccessivo. Rispondono escludendo la retroattività e proponendo lo schema 3+1+1. Poi Cameron chiede che l'eccezione britannica alla 'ever closer Union', sulla quale si fonda l'idea di Europa unita sin dalla nascita nel 1957, venga iscritta nei Trattati.

Per le questioni che riguardano il rapporto di Londra con l'Eurozona e che, nella formulazione del compromesso, di fatto sanciscono la nascita di una Ue a doppia velocità, le diffidenze sono reciproche. Il belga Charles Michel bolla come inaccettabile l'idea che «Gran Bretagna e altri paesi non-euro possano sviluppare una strategia contro l'Eurozona». Ma è il francese Francois Hollande a bloccare la richiesta di maggior libertà sulle regole macroprudenziali per le banche della City. Una posizione fortemente sostenuta da Germania, Lussemburgo e Italia. Sulla quale si spende anche Martin Schulz: avere regole uguali per tutti «è prerequisito indispensabile».

Il punto è uno dei pochi con cambiamenti di linguaggio nella bozza rispetto a quello presentato da Tusk il 2 febbraio. Nel testo è scritto che i poteri delle authority europee resterebbero quelli esistenti. Ma la Francia vuole che, se necessario in futuro (ad esempio per la vigilanza europea sulle camere di compensazione, per lo più britanniche) possano essere anche estesi se necessario. E pure Draghi sostiene la necessità della uniformità. Il punto è che nessuno vuole concedere a Londra la possibilità di allentare le regole e trarne così un vantaggio di competitività della City rispetto al resto del continente.

Sulla questione, anche il presidente dell'Eurogruppo - l'olandese Jeroen Dijsselbloem - fa notare che quella di Londra non sembra una richiesta giustificata: «In tutta la discussione sulla regolamentazione degli ultimi anni, c'è stato solo un caso in cui la Gran Bretagna è stata la sola in disaccordo, ed è stato nel caso dei bonus dei manager». E su tutto grava il lamento di Alexis Tsipras, in un vertice che fa di tutto per tenersi stretta Londra, ma poi stenta a nascondere la voglia di isolare Atene. «La Ue non può essere regole per alcuni e a la carte per altri». 



 
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