Vertice a Bratislava/ L’orizzonte senza bussola di un’Europa a tre velocità

di Marco Gervasoni
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Venerdì 16 Settembre 2016, 00:04
Se persino il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, che ottimista lo deve essere d’ufficio, ha lamentato la mancanza di un «terreno comune» tra i membri della Ue, a poche ore da un vertice pudicamente definito informale come quello che si terrà a Bratislava, c’è davvero poco da sperare. “Un’Europa divisa affronta un incerto futuro”: il titolo del Wall Street Journal di ieri non potrebbe meglio sintetizzare la situazione. 
Nella capitale slovacca non si confrontano solo, per la prima volta, i Paesi della Ue priva di uno dei suoi membri più importanti, il Regno Unito. Fosse solo questo, e le divisioni riguardassero solo i tempi e i modi della Brexit, sarebbe serio, ma non grave. Ben più significativo è che a Bratislava si incontrano, mai come questa volta in maniera plastica ed evidente, non una ma bensì tre Europe.
C’è l’Europa tedesca di Angela Merkel e della Spd, e dei loro alleati del Nord, olandesi, danesi, svedesi, finlandesi e dei Paesi baltici, tutti caratterizzati da un approccio piuttosto rigido alla questione della flessibilità, tutti molto severi nei confronti degli Stati indebitati e lassisti: e come ovvio, i più piccoli sono più realisti del re e più rigoristi del ministro delle Finanze tedesco Schäuble.

Così ecco olandesi, baltici e finlandesi tra i più netti avversarsi di concessioni, in particolare all’Italia. Vi sono poi gli Stati mediterranei, quelli che si sono riuniti qualche giorno fa ad Atene: noi, con la Francia, la Spagna, la Grecia, il Portogallo, più Malta e Cipro. Una compagnia caratterizzata da deficit ingenti, da crescita economica molto debole (a parte la Spagna) e guarda caso tutti a richiedere non solo una deroga, ma bensì una nuova definizione di patto di stabilità - se non il suo abbandono. Più le economie di questo Paesi ristagnano, più quelle dell’area tedesca crescono. E forse un nesso c’è. 
V’è infine la terza Europa, quella entrata nella Ue più di recente, costituita dagli Stati dell’ex blocco sovietico, il cosiddetto gruppo di Visegrad. I loro leader sono l’ungherese Orban e lo slovacco Fico e quello che vogliono è soprattutto riprendersi quote di sovranità, per bloccare gli afflussi di migranti, ma non solo per questo. Ed è notizia di ieri che il gruppo intenderebbe chiedere, questo fine settimana, la revisione dei trattati e la sostanziale messa in mora della Commissione Europea. Da far saltare tutto. Si tratta di una frattura geopolitica e spaziale che affonda nella storia secolare più di quanto non si creda. E che non è segnata solo dalla questione economica: per quanto i Paesi del gruppi di Visegrad non siano ben messi in quanto a deficit, per loro il problema non è il patto di stabilità. E non è neanche una contrapposizione di famiglie politiche, socialisti da una parte e popolari all’altra: nel gruppo tedesco i socialisti olandesi sono più rigoristi della Merkel, nella famiglia mediterranea ci sono anche i popolari spagnoli, quanto a Visegrad l’“autoritario” Orban - che fa parte del Ppe - e il premier slovacco Fico, socialista, vanno d’amore e d’accordo. 
Eppure, c’è da chiedersi se questa divisione in tre, a dispetto di tutte le apparenze, non possa essere l’occasione di uno slancio in positivo. Nel certificare che un’unità con medesime regole e medesimi interessi, che vada da Lisbona a Varsavia, è semplicemente impossibile, frutto di un disegno razionalistico e dirigistico. E che un’Europa più solida forse può essere costruita aggregando tra loro, in forma più integrata, Paesi i cui interessi si armonizzano meglio rispetto a quelli degli altri. Si parla da tempo di un’Europa in due “anelli”: ma forse il numero perfetto sarebbe tre.

 
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