Nel 2011 Blair telefonò a Gheddafi per suggerirgli di mettersi in salvo

Nel 2011 Blair telefonò a Gheddafi per suggerirgli di mettersi in salvo
di Antonio Bonanata
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Venerdì 2 Ottobre 2015, 12:54 - Ultimo aggiornamento: 3 Ottobre, 16:43
I fatti risalgono a quattro anni fa, nel pieno della Primavera araba, il sommovimento popolare che ha destabilizzato la geopolitica nordafricana e mediorientale (e di cui, ancora oggi, con la minaccia dell’Isis in atto e la guerra civile in Siria, vediamo protrarsi gli effetti). L’ex premier britannico Tony Blair – allora inviato per la pace in Medioriente per conto di Nazioni Unite, Unione Europea, Stati Uniti e Russia – contattò telefonicamente il colonnello Mu’ammar Gheddafi, incontrastato capo della Libia dal golpe del 1969, per suggerirgli di rifugiarsi in un posto sicuro.



Nella telefonata, avvenuta nel febbraio 2011 (e quindi all’inizio delle rivolte), Blair invita il rais a favorire una soluzione pacifica della crisi, lasciando il potere senza ulteriori spargimenti di sangue. Si apprende ora dell’esistenza di questa conversazione tra i due leader, dopo che il Dipartimento di Stato americano ne ha reso nota la trascrizione: all’epoca, infatti, uno dei collaboratori di Blair (Catherine Rimmer, capo della strategia), dopo aver messo per iscritto il contenuto della telefonata, lo trasmise a Jake Sullivan, consigliere di Hilary Clinton, nel 2011 Segretario di Stato Usa.



Ma cosa spinse Blair a cercare il rais per prospettargli una exit strategy dal paese in fiamme? In quei giorni le potenze occidentali avevano ormai abbandonato Gheddafi al suo destino: da Bengasi, città storicamente nemica del colonnello e primo focolaio della rivoluzione, le proteste avevano raggiunto Tripoli e i palazzi del potere. Il dittatore era sempre più isolato e non aveva esitato a bombardare la popolazione civile per sedare la rivolta. L’Onu, allora, aveva approvato una risoluzione che mirasse a porre fine alle “gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani”, istituendo una no-fly zone sui cieli libici. In marzo era subentrato l’intervento militare delle forze occidentali, cui aveva contribuito anche l’Italia, fornendo le basi di Sigonella e Gioia del Colle ai caccia americani e inglesi.



In uno scenario così compromesso, Blair alza la cornetta e chiama colui che considera un “vecchio alleato” per indirizzargli un “forte messaggio”: le violenze devono cessare, il colonnello deve favorire una transizione pacifica, lasciando il potere che detiene da oltre 40 anni. L’imperativo, si legge nella trascrizione della telefonata, è quello di “fermare la carneficina”. Da qui il consiglio più sincero: «Se hai un posto sicuro dove rifugiarti, raggiungilo immediatamente», consapevole del fatto che la guerra non sarebbe terminata senza un cambio al vertice del paese. «Il processo di transizione dev’essere guidato e noi dobbiamo trovare il modo per farlo» aggiunse l’ex inquilino di Downing street.



Forte del suo ruolo di inviato speciale per conto dell’Onu e delle principali organizzazioni internazionali, Tony Blair si fece portatore dei messaggi indirizzati al rais dagli Stati Uniti (e dai suoi alleati). Alla comunità internazionale premeva che i bombardamenti sui civili cessassero al più presto; per questo suggerisce a Gheddafi di compiere gesti concreti in tal senso, di modo che possa rassicurare i propri referenti sulle buone intenzioni del leader libico. Sappiamo poi com’è andata: Gheddafi è stato catturato dai ribelli nell’ottobre del 2011, mentre cercava di fuggire da Sirte, e barbaramente ucciso con un colpo di pistola alla testa.