Da Barcellona a Spacey/ Ecco lo scettro elettronico che decide ascesa e caduta

di Sebastiano Maffettone
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Giovedì 16 Novembre 2017, 00:06
Ho incontrato Kevin Spacey a Ravello - dove girava un film su Al Gore - poco più di un mese fa. In quel momento era forse l’attore più popolare del mondo. Adesso è stato praticamente cancellato. Niente più agente e ufficio stampa, espulsione da Netflix (forse il suo personaggio in “House of Cards” morirà…), addirittura in un film su Paul Getty che stava interpretando verranno girate di nuovo le scene che lo riguardano con un altro attore al suo posto. 

Tutto ciò in un paio di settimane. Come conseguenza del fatto che lo stesso Kevin Spacey avrebbe molestato sessualmente diversi giovani in numerose occasioni della vita. Il tutto all’interno di una formidabile campagna mediatica - aperta dal caso del produttore americano Weinstein - contro abusi e molestie sessuali. 
L’ultima volta che sono stato a Barcellona mi è parsa una delle città più tranquille, solerti e godibili del pianeta. Adesso, invece, sappiamo quanto sia caotica la situazione, con la città e la Catalogna in agitazione permanente, con le grandi compagnie economiche che hanno lasciato le loro sedi in loco e con lo stato spagnolo quasi in assetto da guerra sul territorio. Tutto ciò in qualche mese. Come conseguenze di un anelito all’indipendenza disastrosamente gestito sia dai catalani sia dallo stato centrale. Due vicende queste che non hanno nessun rapporto tra di loro a prima vista.

Così penserà ciascuno di voi dopo avere letto le prime righe di questo pezzo. La mia tesi è invece che non possiamo essere sicuri di questa estraneità reciproca. Forse, un legame c’è. Ed è costituito da quella che in inglese si chiama “mobocracy” (“mobocrazia”, facendo il calco), che vuol dire potere di mob. Ora “mob” è la parola che in inglese si adopera per il nostro “mafia”, per la criminalità organizzata ma anche per alludere a una folla vagamente minacciosa. Nel gergo dei videogiochi al computer, mob vuol dire però anche “mostriciattoli”, facendo riferimento ai vari nemici che si cerca di eliminare nel corso per l’appunto di un videogioco. Ed è questa invasioni di mostri che –a parer mio- mette in relazione due vicende apparentemente tanto diverse quanto il caso delle molestie sessuali e la rivolta catalana.

Il mio discorso, lo si noti, non riguarda i contenuti: le molestie sessuali sono esecrabili, e, se non per forza sotto forma statuale, i popoli hanno qualche diritto ad autodeterminarsi. Il punto è quello di cercare un nesso diverso fra i due eventi, del tipo: come è possibile che l’opinione pubblica possa cambiare, talvolta anche in maniera repentina, nel giro di poche ore? Credo che la risposta sia nel modo in cui i social media - come Facebook, Instagram e Twitter - nella rete influenzano sistematicamente le persone, eccitando e radicalizzando i loro sentimenti più profondi.

Succede oramai abbastanza regolarmente in politica. La copertina dell’Economist della scorsa settimana era intitolata “La minaccia dei social media alla democrazia”. E sappiamo dei sospetti di influenza esterna, in particolare da parte della Russia, sulla campagna di Trump. Ma la questione è più generale e aiuta a spiegare molti repentini cambiamenti di opinione, dalla primavera araba a Brexit. Il fatto, però, non riguarda soltanto la grande politica, ma anche reazioni quotidiane e percezioni della realtà. Quello che i social media fanno da questo punto di vista è mettere in contatto tra loro persone che hanno opinioni forti ma non per forza basate sulla disamina dei fatti nel loro complesso, e che vogliono vedere queste opinioni confermate, non messe alla prova. 

L’oltraggio, l’esagerazione, la radicalizzazione, l’estremismo sono le forme retoriche più usate per questo tipo di operazione. Il risultato consiste nella creazione di discontinuità improvvise e brusche mutazioni dell’opinione pubblica. Come quella dell’attore e della regione da cui abbiamo cominciato. E, anche accettando serenamente il profilo etico delle rivendicazioni specifiche a esse connesse, non si può non restar perplessi da grandi spostamenti di opinione che influiscono così drammaticamente sulla vita delle persone in maniera tanto immediata. Il pericolo implicito nel fenomeno sembra chiaro. L’opinione pubblica, base della democrazia, ha bisogno anch’essa di tempo, di cautela e di riflessione per essere ragionevole. Quando ciò non accade esiste un problema profondo per la sfera pubblica e per la democrazia rappresentativa, la cui qualità dipende proprio dal sano funzionamento della sfera pubblica.
 
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