Barcellona, la mente della strage legata all'attentato di Nassiriya

Barcellona, la mente della strage legata all'attentato di Nassiriya
di Paola Del Vecchio
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Lunedì 21 Agosto 2017, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 13:24

BARCELLONA Le sue preghiere nella moschea di Ripoll proclamavano un islam moderato. Ma Abdelbaki Es Satty non solo avrebbe avuto un ruolo chiave nella deriva radicale dei dodici giovani marocchini della cellula che ha portato il terrore al cuore di Barcellona. Sulla sua fedina penale c’è solo una precedente condanna per traffico di droga. Tuttavia, scavando nel recente passato dell’imam emerge una ragnatela che lo collega a personaggi coinvolti in alcuni dei peggiori attentati di matrice islamica: le stragi dell’11 marzo ad Atocha e, un anno prima, nel 2003, l’attacco suicida alla base di Nassiriya, in Iraq, che provocò 19 morti fra i carabinieri 9 nove fra i militari iracheni. Colpisce che, nonostante la trama di relazioni pericolose, l’imam non fosse sotto il radar dell’antiterrorismo.

UN UOMO SOLITARIO
Dal 2015 Es Satty, descritto come un uomo solitario, riservato e di poche parole, era imam della moschea di Ripoll, incarico che aveva abbandonato due mesi fa, dopo aver annunciato alla comunità Annour, una delle due moschee della cittadina di 10mila abitanti, la sua intenzione di ritornare in Marocco, dove l’aspettavano la moglie e i suoi 9 figli. Negli ultimi due anni, il leader religioso si era assentato durante alcuni periodi per viaggiare in Belgio e in Francia. E quegli spostamenti, i contatti avuti all’estero sono ora al centro delle indagini dei Mossos d’Esquadra. Fonti investigative citate da El Periodico ricordano che Il nome di Abdelbaki Es Satty figurava già nell’operazione “Chacal”, sciacallo, una delle retate compiute all’indomani degli attentati di Madrid del 2004 contro presunti reclutatori di soldati della jihad, per inviarli alle zone di conflitto. Fu quando i suoi documenti di identità furono ritrovati in casa di Mohamed Mrabet Fhasi, un macellaio di Vilanova i Geltrú (in provincia di Barcellona), condannato in primo grado dall’Audiencia Nacional e poi assolto in appello, per aver arruolato terroristi. Fra questi, Belil Belgacem, il “martire” della jihad che, dopo aver raggiunto l’Iraq, si suicidò per compiere la strage contro la base italiana di Nasiryah. 

Nella sentenza dell’Audiencia Nacional – l’alto tribunale competente per i reati di terrorismo – poi annullata dal Tribunale Supremo, era ritenuto provato che Mohamed Mrabet Fhasi era parte integrante di una cellula attiva a Santa Coloma de Gramanet - nella cintura urbana di Barcellona - che aiutò il marocchino Mohamed Belhadj, l’uomo che aveva affittato il covo di Leganes, a Madrid, dove si rifugiarono sette membri del commando, che aveva messo a segno gli attentati islamici di Atocha, a fuggire dalla Spagna. Dopo l’esplosione dell’appartamento di Leganes, in cui morirono i terroristi, Belhadj fuggì da Madrid assieme a un altro marocchino imputato per le stragi, Mohamed Afalah. Passarono da Barcellona, per poi trovare rifugio in Belgio, ad Amberes, in casa di uno dei fratelli di Belhadj. Dal Belgio, il marocchino di 31 anni passò in Siria dove, due anni dopo, fu arrestato ed estradato in Marocco. Processato in Spagna, Belhadj fu condannato a 12 anni per gli attentati di Madrid e, dopo la pena, estradato nuovamente nel paese d’origine, dove starebbe scontando un’ulteriore condanna a 8 anni di carcere. 

LA RAGNATELA
Dagli atti processuali emerse una ragnatela di collegamenti, che dalla Catalogna arrivava in Belgio, per estendersi in Siria e all’Iraq in conflitto. Fra i condannati dell’operazione Chacal, anche l’uomo che aveva fornito a Belhadj un passaporto falso per la fuga: Omar Nakhcha, membro di un’altra cellula “Tigris”, sgominata nel 2005: 32 persone processata dal giudice Baltazar Garzon, accusate di arruolamento e indottrinamento di mujaddin nella penisola iberica da inviare in Iraq, con un troncone con base a Ceuta e l’obiettivo aggiunto del traffico d’armi e di droga nell’enclave spagnola in Marocco. 

LA CONDANNA
Nel processo dell’operazione Chacal, sul banco degli imputati figurava anche un cugino dell’imam Abdelbaki Es Satty, che tuttavia fu assolto nelle conclusioni definitive dell’inchiesta. Chi invece venne condannato per traffico di droga è lo stesso imam di Ripoll, uscito dal carcere nel 2012, dopo aver scontato la condanna. E ora accusato di essere il leader spirituale del commando di giovani marocchini che aveva progettato di “immolarsi” per far saltare in aria la Sagrada Familia a Barcellona, simbolo della cristianità, uccidendo il più alto numero possibile di “infedeli”. Un disegno solo in parte compiuto, con il sangue delle vittime innocenti sparso sulla Rambla e a Cambrils. 

 

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