Afghanistan, attacco agli italiani: tre razzi contro la base di Shindand

La base di Shindand in Afghanistan
di Ebe Pierini
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Sabato 26 Ottobre 2013, 18:43 - Ultimo aggiornamento: 27 Ottobre, 21:31
Due hanno centrato l’obiettivo e sono esplosi all’interno della base di Shindand, uno ha impattato all’esterno.

Oggi, alle 13, quando in Italia erano le 10.30, tre razzi sono stati lanciati contro la fob La Marmora. Fortunatamente nessun ferito e nessun danno. Hanno imparato a conviverci i soldati italiani. Si tratta del quattro attacco in meno di due settimane. Il 14 ottobre un mezzo del 5° reggimento genio di Macomer era saltato su un ordigno improvvisato. La notte del 18 ottobre due razzi erano stati lanciati contro la base. Domenica scorsa, a 5 chilometri dalla base, i militari italiani erano stati presi di mira dal fuoco nemico: trenta minuti di colpi d’arma leggera, di mortaio e di lanciarazzi Rpg. Mezz’ora che deve essere sembrata un’eternità. In Afghanistan vietato abbassare la guardia. Anche e soprattutto in questa fase di transizione in vista del 2014 quando la missione cambierà natura e si ridurrà di molto il numero dei soldati stranieri presenti nel Paese.



IL COMANDANTE Lo sa bene il colonnello Franco Merlino, 47 anni, nato a Modena ma romano da sempre tanto che vive con la sua famiglia nei pressi di Roma, comandante del 183° reggimento paracadutisti Nembo di Pistoia e in Afghanistan alla guida della Transition Support Unit Center di Shindand nell’ambito del Regional Command West, il comando a guida italiana su base brigata Aosta. È alla sua prima esperienza in Afghanistan ma ha alle spalle una precedente missione in Bosnia, una in Albania e due in Kosovo. Inoltre, dal 2009 al 2012, in piena primavera araba, ha svolto il ruolo di addetto aggiunto per la Difesa in Egitto. Sotto la sua responsabilità ha circa 700 uomini, 500 dei quali dislocati proprio a Shindand. «Gli uomini per un comandante sono importanti almeno quanto lo è un comandante per i suoi uomini – racconta il comandante Merlino – Io, qui in Afghanistan, posso contare su soldati preparatissimi che hanno numerose missioni alle spalle. Comandante loro è come guidare una Ferrari». Militari ogni giorno in prima linea, a fianco dell’esercito e della polizia afghana ma anche a sostegno della popolazione locale anche se il rischio di attentati è quanto mai reale. Tre attacchi in una settimana ne sono la prova.



LA MISSIONE Supporto alle forze di sicurezza afghane ma anche sostegno alla popolazione locale: questa la missione dei militari della base avanzata La Marmora di Shindand ora che la fase di transizione della responsabilità agli afghani è quasi ultimata. Proprio per questo periodicamente organizzano attività di delivery, di distribuzione di aiuti umanitari e in particolare di food kits, cioè di sacchetti pieni di prodotti alimentari da consegnare alle famiglie più povere dei villaggi che contengono farina, zucchero, olio, cereali. I paracadutisti del Nembo pianificano queste attività molto minuziosamente. Ogni spostamento va studiato sulla cartina, vanno predisposti tutti i dispositivi di sicurezza. Nulla va mai lasciato al caso perché anche una semplice attività a scopo benefico potrebbe trasformarsi in un’imboscata da parte degli insurgents.



GLI AIUTI La colonna dei lince dei paracadutisti italiani sfila via lenta fuori dall’ingresso di fob La Marmora verso il villaggio dove verranno consegnati gli aiuti. Una volta sul posto l’area viene minuziosamente controllata, si traccia a terra un percorso tramite del nastro bianco e rosso perché la popolazione possa avvicinarsi con ordine. I soldati avvicinano l’elder, l’anziano del villaggio, che conosce tutte le famiglie e in particolare le più bisognose. Poi alla spicciolata, all’orizzonte, compaiono i bambini che, uno dopo l’altro, alcuni anche scalzi, si avvicinano ai militari per ricevere il pacco dono che viene consegnato sempre dai soldati afghani affiancati dagli italiani. È una scena che si ripete ogni volta. I piccoli si caricano sulla schiena il sacco di juta, che a volte è più grande di loro, e sfilano via soddisfatti verso le case di argilla dove vivono. E c’è chi, dopo qualche passo, si volta indietro, regala un sorriso e saluta con una mano. Il suo modo di dire “tashakor”, grazie.
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