IL DOLORE
Dennis, 23 anni. È olandese, fa uno stage a Barcellona. «Ho perso di vista gli altri compagni prima del ponte sul fiume Ebro e ho cominciato a sospettare». Un convoglio di cinque bus, sarà l'ultimo con a bordo 57 studenti a schiantarsi. Dennis ricorda le manovre a zig zag del pullman prima del tragico incidente. Il mezzo che sbanda e va da una parte all'altra della strada. Poi «urla e panico» racconta Dennis che lamenta di essere «rimasto con gli altri compagni almeno due ore sul luogo del disastro prima di essere trasferito al pronto soccorso».
LA PAURA
Collare al collo, cammina a fatica. Tra i superstiti nell'hotel dove vengono assistiti gli studenti dell'Erasmus c'è Victor Manuel Torres Pano, messicano, iscritto alla facoltà di amministrazione di impresa. «Non ricordo nulla, dormivo, e sono stato svegliato dall'impatto». E poi con un sospiro ricorda che il suo amico Hans, del Perù, «è ok», sta bene, ce l'ha fatta, stava su un altro pullman. «È successo tutto in un momento. Ci siamo trovati in un inferno di lamiere, vedevo i miei compagni insanguinati, che urlavano. Hanno impiegato almeno mezz'ora i soccorsi ad arrivare».
LO CHOC
Victor è salito sul bus alle 4 del mattino. Tornava, come gli altri studenti, a Barcellona dopo avere assistito a Valencia alla Notte dei Fuochi della celebre Fiesta de Las Fallas. E Victor non ricorda chi era seduto accanto a lui. Perché i ragazzi (in tutto trecento) hanno cambiato posti sui bus per stare vicini agli amici nel viaggio di ritorno, cosa che ha reso ancora più lunghe e difficili le procedure di identificazione.
«Tutto è accaduto all'improvviso». Ancora ricordi, ancora dolore. A parlare è un giovane giapponese di 21 anni che era insieme a un amico, uno studente del progetto Erasmus. Elena Maestrini, 21 anni di Gavorrano, nella Maremma grossetana, è iscritta a Economia all'Università di Firenze e solo da due mesi si è trasferita a Barcellona. Sotto choc, a lungo è stata incapace di dire una parola quando i medici al pronto soccorso dell'ospedale le chiedevano se ricordasse cosa fosse accaduto. Choc, ma anche sensi di colpa tra i sopravvissuti. «Avrei potuto fare qualcosa per i miei amici» dice un giovane tedesco ricoverato all'ospedale Joan XXIII di Tarragona. Accanto a lui c'è anche un ragazzo italiano. Semplicemente non parla più. Nei suoi occhi ancora le immagini della tragedia.