Yara, ergastolo per Bossetti. L'ultima supplica: Rifate il Dna

Yara, ergastolo per Bossetti. L'ultima supplica: Rifate il Dna
di Claudia Guasco
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Sabato 2 Luglio 2016, 09:07 - Ultimo aggiornamento: 14:13


dal nostro inviato
BERGAMO Ergastolo. Massimo Bossetti l'avrà messo in conto, ma quando arriva il momento del «fine pena mai» è come una bastonata. Il muratore scuote la testa e alza gli occhi al soffitto. Il volto duro, impassibile. La moglie Marita si passa una mano sulla fronte, pochi minuti dopo lo abbraccia nella stanza dietro l'aula. Bossetti è scosso: «Non sono colpevole, non sono stato io. Perché devo restare in carcere?». Perché il verdetto della Corte d'Assise di Bergamo dice che è lui l'assassino di Yara Gambirasio.
L'ha portata via dalla palestra la sera del 26 novembre 2010, l'ha ferita e l'ha abbandonata nel gelido campo di Chignolo. «Adesso sappiamo chi è stato», dice con un misto di sollievo e dolore la mamma di Yara, Maura Panarese.
Il collegio presieduto da Antonella Bertoja non ha fatto sconti: riconosciute le aggravanti della crudeltà e della minorata difesa, tolta l'interdizione legale e la patria potestà, imposto un risarcimento complessivo di un milione e 250 mila euro ai Gambirasio e ai loro tre figli. «Le sentenza si rispettano, siamo sereni. Bossetti ci credeva, con le sue dichiarazioni pensava davvero di riuscire a convincere i giudici», afferma l'avvocato Claudio Salvagni. La pm Letizia Ruggeri, che di questo caso ne ha fatto un cruccio personale, è riuscita nell'impresa di condurre un'indagine al contrario: trovato il dna Dell'assassino, ha ricostruito le dinamiche e messo insieme gli indizi. «La pm è stata fantastica. Ha superato se stessa per tenacia e passione», dice il procuratore aggiunto Massimo Meroni. «Ora siamo a metà strada, è una sentenza di primo grado, ma trattandosi del giudice Bertoja le motivazioni saranno impeccabili».
 
L'AGONIA
Eppure c'è stato un momento in cui pochi, in Procura, disperavano di risolvere il caso. C'era un codice genetico sconosciuto (Ignoto 1), mezza popolazione della bergamasca da mappare e nessun appiglio: le telecamere all'esterno della palestra non funzionavano, Yara era una bambina con una vita senza ombre. La svolta è arrivata quando, tra i frequentatori della discoteca di Chignolo, spunta un Guerinoni con un dna compatibile: si segue la pista di Gorno, si arriva al padre di Bossetti e poi alla madre. Sul dna è stata battaglia campale. I difensori di Bossetti e lo hanno definito «una mezza traccia» e «forse contaminata» durante i procedimenti di conservazione e di analisi. «Più anomalie che marcatori», hanno detto. «Uno e perfetto», ha risposto il pm. La Corte, dopo la conclusione del dibattimento, ha respinto la richiesta in extremis di una perizia perché «ogni ulteriore accertamento appare superfluo» per la decisione.
Bossetti, fino all'ultimo, ha cercato di salvarsi: «Sarò un ignorantone, un cretino, ma non sono un assassino. Ripetete l'esame del Dna, i vero assassino è ancora in libertà», è stato il suo appello finale. Che non è servito. Nella sua requisitoria la pm Letizia Ruggeri ha descritto la terribile morte di Yara.
«Dei colpi inferti, nessuno era letale. Non morì nelle fasi immediatamente successive all'aggressione. La sua fu una lenta agonia. C'era buio. Era sola. Avrà provato paura e dolore», dice il magistrato. I periti spiegano che ha vissuto uno stress prolungato, lo provano l'acetone e l'adrenalina trovati nel corpo in misura superiore alla norma, e le ulcere gastriche. «Le lesioni furono inferte alla vittima in vita con un corpo contundente, produssero sanguinamento, la tramortirono. Non ci sono ferite da difesa. Le lesioni ai polsi e al ginocchio sono simmetriche, come disegnate. Significa che la vittima era inerte. Yara venne abbandonata pesta e sanguinante. Ci fu agonia, anche se è impossibile stabilirne la durata, il lento cessare della funzione cardiocircolatoria fino alla fine». Le ferite, il terrore, l'ipotermia come concause della morte. E la mano di Yara che nello spasmo afferra un ciuffo d'erba.
 

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