Verona, nuova indagine su Pietro Maso: tentata estorsione alle sorelle

Verona, nuova indagine su Pietro Maso: tentata estorsione alle sorelle
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Giovedì 21 Gennaio 2016, 19:58 - Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 08:59
Ancora Pietro Maso. Ancora una storia di soldi. E di incubi per le due sorelle del pluriomicida di Montecchia di Crosara, Nadia e Laura, che a 25 anni di distanza dall'omicidio dei genitori hanno denunciato il fratello, autore di quel massacro, per tentata estorsione. Il sospetto è che l'ex giovane della 'Verona benè si sia rifatto avanti per ottenere parte di quell'eredità che - raccontarono i processi, fino alla Cassazione - era il movente dell'omicidio di Antonio Maso e Rosa Tessari. Quel lontano 17 aprile del 1991, Pietro e i tre suoi amici-complici li aspettarono nel buio della villetta, camuffati con maschere di Carnevale, e li ammazzarono senza pietà, armati con un bloccasterzo e alcune padelle. Pietro voleva prendersi in anticipo i soldi dell'eredità - calcolata all'epoca in un miliardo e mezzo di lire - e per non spartire niente, accertarono i magistrati, progettava di uccidere anche le sorelle ed un cognato.

Oggi il Procuratore di Verona, Mario Giulio Schinaia, che ha ricevuto la lettera-esposto delle due donne, e rappresentò l'accusa nel processo di primo grado, non si sbilancia sulla pista dell'eredità. Ma fa capire che, dal suo punto di vista, Maso non è cambiato. «Penso non sia una questione di eredità. Qui si tratta di 'scheì, sempre quelli» risponde il magistrato. Il legale di Nadia e Laura Maso, avv. Agostino Rigoli, ha però una tesi differente. Nega che le vittime della tentata estorsione siano le sorelle di Pietro. «La tentata estorsione non è stata fatta verso di loro - sostiene - e l'eredità non c'entra. Hanno saputo, casualmente, di una richiesta fatta dal fratello ad un'altra persona, un suo amico, con toni estorsivi, violenti, che le ha convinte ad avvisare i carabinieri».

Cosa che non convince il Procuratore di Verona. «Una terza persona la vittima? Io non ci credo - sottolinea Schinaia - è la prima che sento, dopodichè i legali delle due signore possono sostenere altre tesi, che saranno verificate dalle indagini». «Io - prosegue - parto da un dato storico: le sorelle di Pietro Maso hanno mandato una lettera-esposto dicendo che il fratello, continua a chiedere soldi.
La tentata estorsione è verso di loro». Sulle modalità, Schinaia non entra nei dettagli. Tuttavia il grado di
«pericolosita» - spiega - lo si desume «dal fatto che chi compie questo reato si è già qualificato per un certo fatto compiuto in passato». «Quando una richiesta del genere la fa chi si è già macchiato di un delitto - conclude - si considera questo soggetto come più pericoloso di altri».

Insomma i magistrati tornano ad occuparsi del lato più oscuro, e pauroso, del personaggio-Maso. In meno di 48 ore, Pietro è passato dalle fotogallery dei rotocalchi, in posa come un 'tronistà per un'intervista in cui rivelava la clamorosa telefonata ricevuta da Papa, dopo la lettera di 'pentimentò inviata al Pontefice, al registro degli indagati di una Procura. Pietro Maso, uscito dal carcere di Opera nell'aprile 2013, scontati 22 anni di reclusione (grazie agli sconti sui 30 anni inflittegli dalla Cassazione), oggi è un uomo libero di 44 anni. Si è sposato e si è stabilito a Milano. Non è più tornato a Montecchia di Crosara, dove nessuno lo aspetta. La villetta del massacro, così come i terreni che i genitori possedevano, sono stati venduti. Se per ipotesi Maso mirasse alla 'suà parte di quell'eredità, da cui è stato ovviamente escluso con la condanna, potrebbe essere stimata nell'equivalente in euro di 4-500 milioni di lire del 1991.

L'avvocato Rigoli ha riferito che le sorelle Nadia e Laura - il cui percorso non è mai arrivato ad un vero e proprio perdono del fratello - lo hanno incontrato qualche tempo fa. Si sono preoccupate riconoscendo in lui
«una situazione psicologica che ricordava quella di 25 anni fa, quando uccise i genitori». «Vi hanno rivisto - ha aggiunto il legale - le stesse anomalie di comportamento, quei disturbi della personalità, che all'epoca del processo vennero diagnosticati come 'disturbo bipolarè da dal professor Andreoli».
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