Venticinque anni dopo/Le radici del populismo e la retorica dell’onestà

di Carlo Nordio
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Sabato 18 Febbraio 2017, 00:16
Quando, nel dicembre del 1792, iniziò a Parigi il processo contro Luigi XVI, tutti capirono che si chiudeva la fase iniziale della Rivoluzione scoppiata nell’89. Quando invece, due secoli dopo - fatte naturalmente le debite proporzioni - iniziarono a Milano i processi della cosiddetta tangentopoli, pochi compresero che si apriva il capitolo di un libro nuovo, scritto anche qui tre anni prima, con la caduta del muro di Berlino. 

Liberatasi infatti della paura del comunismo sovietico, l’economia italiana non sopportò più l’ipoteca del cosiddetto arco costituzionale, che aveva prodotto un vessatorio sistema tangentizio finalizzato al finanziamento clandestino e illegale dei partiti. Bastò poco per far crollare un edifico già marcio. Una modesta tangente scoperta da un procuratore; un sistema di indagini e di carcerazioni condotte in modo spietato; un’organizzazione giudiziaria che moltiplicava in poche ore, e in modo esponenziale, il numero degli indagati, dei collaboratori, e dei nuovi arrestati; un’opinione pubblica esasperata e rivoltosa, eccitata da una stampa unanimemente giacobina.
Tutto questo, e altro, demolì in pochi mesi un “ancien regime” mantenuto per quasi mezzo secolo. Si voleva dimostrare che la giustizia non si fermava alle soglie dei cosiddetti poveri cristi, e che neanche le cariche più alte erano affrancate dai rigori della legge. 

E soprattutto si ritenne che l’aria nuova giovasse a una nuova classe dirigente più giovane, più duttile e meno ideologizzata per trainare l’Italia nella nuova dimensione Europea. 

Ma il prezzo pagato fu altissimo. Prima di tutto, un’ubriacatura giustizialista che a tratti avvilì i più elementari diritti civili. Basti pensare alle centinaia di persone incarcerate e assolte, e a quelle ancor più numerose “sputtanate” da una sapiente divulgazione di intercettazioni teoricamente coperte dal segreto. Berlusconi ne fu la prima vittima, con la notifica a mezzo stampa di un’informazione di garanzia che ne compromise l’esordio politico. 

In secondo luogo, la funesta illusione che la magistratura fosse investita di una missione salvifica, tale da attribuirle la certificazione monopolistica di moralità politica. Ancora oggi, a Roma, prima di decidere sul destino della Raggi si aspetta l’opinione della Procura. Un concorso, o conflitto, di competenze, incompatibile con una democrazia matura.
Infine, più importante ed attuale, il cosiddetto populismo. La dissoluzione dei cinque partiti che avevano presieduto alla ricostruzione dell’Italia del dopoguerra aveva infatti prodotto la rovinosa e infantile convinzione che il Pci, uscito quasi indenne dalle indagini, potesse costituire, con gli opportuni adattamenti, una nuova gioiosa aggregazione di onesti e capaci. Il realtà il Pci aveva costruito un sistema di finanziamento illegale e clandestino ancora più sofisticato di quello degli altri partiti. Ne è esempio l’immenso patrimonio immobiliare della cui creazione non ha mai dato rendiconto, e di cui ha fatto sparire la documentazione dopo le perquisizioni della Procura di Milano. 

Per di più è emerso il suo foraggiamento da parte dell’Urss, Paese che teneva i missili nucleari puntati sulle nostre teste. Gli italiani non sono caduti in questa trappola maldestra, e si sono rivolti ad altre formazioni, peraltro prive di tradizioni, consistenza e cultura politiche. In questo vuoto di potere, che dura da venticinque anni, due forze continuano a signoreggiare. La magistratura, con una involontaria ma inevitabile funzione di supplenza, e appunto il populismo, inteso come ondivago emigrare di una forte componente elettorale presso chiunque ne stimoli e ne assecondi le pur giustificate indignazioni emotive. 

Così, con la complicità di un’Europa burocratica e miope, molti italiani avendo perduto la fede nelle ideologie e la speranza nelle riforme, si accontentano di chiedere la carità al primo menestrello errante che agiti una medicina miracolosa, promettendo un’apocalittica rinascita.


 
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