Venezia, invocano Allah in stazione: nello zaino pietre e machete

Venezia, invocano Allah in stazione: nello zaino pietre e machete
di Cristiana Mangani
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Lunedì 1 Agosto 2016, 07:55 - Ultimo aggiornamento: 2 Agosto, 11:10

Stavano pregando alle 4,30 di domenica mattina vicino alla stazione ferroviaria a Venezia, quando una guardia giurata si è accorta del gruppetto di stranieri e, insospettita, ha chiamato la Polizia. Tre uomini e tre donne inginocchiati verso la Mecca, che, appena si sono accorti del vigilante, sono fuggiti. Ma fuggire sulla laguna non è proprio facilissimo e, così, le volanti e gli uomini della Digos che si sono messe alla caccia, hanno rintracciato i primi due componenti del gruppo: O.A., 49 anni, nato in Germania, in possesso di un documento di identità turco e di un permesso di soggiorno tedesco intestato però a un'altra persona, e A.K. del 1992, con passaporto turco, attualmente residente in Slovenia per motivi di studio. Gli agenti hanno capito che poteva trattarsi di personaggi pericolosi non appena hanno perquisito O. e gli hanno trovato nella borsa un machete e delle pietre, una particolarmente grossa. «La pietra - ha provato a giustificarsi - non so come sia finita qui. Il machete mi serviva per celebrare la festività islamica del sacrificio».

LA DOCUMENTAZIONE
Di questi tempi e con le forze di polizia in piena allerta sono state immediatamente avviate le ricerche delle altre quattro persone che si erano allontanate e, a questo punto sono intervenuti lo Scip e il Servizio centrale antiterrorismo, che hanno preso contatti con la Polizia tedesca e con quella slovena. Dalla Germania, le autorità hanno inviato tutta la documentazione che riguardava O., corredata da foto. Ma proprio guardando le immagini, gli investigatori si sono accorti che la persona fermata era diversa da quella indicata dai tedeschi. E comunque che l'uomo bloccato era sconosciuto alle varie banche dati. Quindi, è stato arrestato per false attestazioni a pubblico ufficiale sull'identità personale e denunciato per il possesso del machete.


Il secondo fermato ha provato anche lui a raccontare una storia. Ha detto che non conosceva i concittadini, ma che li aveva sentiti parlare in turco, e allora si era avvicinato ed era stato invitato a pregare con loro. Aveva aderito per non offenderli. Nei suoi confronti è scattato un provvedimento di fermo ed è stata avanzata richiesta di riammissione in Slovenia.

Rimanevano, però, da rintracciare ancora gli altri quattro. E' stata allertata la Polfer e, nel pomeriggio di ieri, il resto del gruppo è stato bloccato. Gli agenti hanno individuato tre donne e un uomo di nazionalità turca che sembravano corrispondere alla descrizione fatta dalla guardia giurata di Venezia. Il gruppo era entrato in Italia dall'aeroporto di Fiumicino il 29 luglio scorso, avevano biglietti di treno interail e, hanno raccontato alla Digos di Milano che li ha interrogati, di avere come destinazione finale Barcellona. «Siamo turisti - hanno detto - abbiamo incontrato O. per caso ieri, a Venezia, e ci ha chiesto di unirci al gruppo per pregare insieme». Ci siamo subito allontanati da lui quando c'è stato l'intervento della guardia giurata. I quattro sono stati controllati con esito negativo e, verificata la regolarità dei loro documenti, sono stati rilasciati. Le indagini, comunque, continuano per capire fino a che punto ci fossero collegamenti tra ognuno di loro e cosa avessero intenzione di fare in Italia.

IL MAGAZZINIERE
Altra storia, invece, è quella che riguarda un pachistano di 26 anni, residente a Vaprio D'Adda, nel milanese. Verrà espulso tra oggi e domani su provvedimento del ministro dell'Interno Angelino Alfano. I carabinieri del Ros e il pool antiterrorismo della procura lombarda ritengono che si tratti di un «aspirante combattente», che aveva già prestato giuramento di sottomissione al califfo e che intendeva anche colpire una rivendita di alcolici con armi ed esplosivi che era sicuro di potersi procurare. Ancora una volta, è stato il monitoraggio su Internet a dimostrare la possibile pericolosità del giovane che, sposato con una connazionale, era arrivato in Italia nel 2003 con i familiari, aveva frequentato le scuole italiane e aveva un lavoro fisso. «Il pachistano - ha spiegato Alfano - aveva più volte affermato la sua appartenenza ideologica a Isis ed era considerato un personaggio pericoloso. Il nostro lavoro parte dal presupposto che la prevenzione rivesta una grande importanza nel contrasto al terrorismo. Proseguiamo su questa strada spesso nell'ombra perché non sapremo mai, per esempio, se, tra gli espulsi finora, si nascondeva un potenziale terrorista a un passo dalla sua azione».