Terremoto: Umbria, Emilia e Abruzzo: quei 16 miliardi mai spesi

Terremoto: Umbria, Emilia e Abruzzo: quei 16 miliardi mai spesi
di Andrea bassi e Michele Di Branco
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Mercoledì 31 Agosto 2016, 08:09 - Ultimo aggiornamento: 14:23

ROMA Quando l'idea ha iniziato a circolare sui social network al ministero del Tesoro è subito suonato un campanello d'allarme. Per finanziare i costi del post terremoto di Amatrice, era il tormentone, usiamo i 130 milioni del jackpot del Superenalotto. Meglio lasciar perdere. Almeno se si vuol trarre qualche insegnamento dall'esperienza. Una strada del genere è già stata battuta una volta, con il sisma che nel 2009 ha devastato l'Abruzzo e l'Aquila. Dei primi 5,8 miliardi stanziati dal governo Berlusconi per la ricostruzione post-sisma, buona parte sono stati finanziati introducendo nuovi giochi. Le famigerate Vlt, le slot machine di ultima generazione alle quali molti Comuni e molte Regioni hanno dichiarato guerra e che ora si vorrebbero abolire, nascono da quel decreto. Così come le estrazioni istantanee del 10 e lotto o quelle plurisettimanali del Superenalotto. Ma del resto quando la terra trema come ha tremato tante volte in Italia, i costi della ricostruzione sono ciclopici e il governo, le cui casse non sono esattamente stracolme, deve trovare in qualche modo i fondi per la ricostruzione. E di danni, in Italia, i terremoti ne hanno fatti. Una stima complessiva ha provato a quantificarla il centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri sulla base di dati della Camera dei Deputati. Dal 1968 al 2012, hanno calcolato, i costi per lo Stato sono stati di 121,6 miliardi di euro.

TUTTI I NUMERI
In realtà, oltre a quanto stanziato, è anche utile forse capire quanto è stato effettivamente speso e a che punto è la ricostruzione. Il Messaggero ha provato a farlo per tre dei terremoti che negli ultimi anni hanno causato il maggior numero di danni: quello dell'Umbria e delle Marche del 1997, il terremoto dell'Aquila del 2009 e quello dell'Emilia Romagna del 2012. Cominciamo dal primo. A 19 anni di distanza dallo sciame sismico che sconvolse Umbria e Marche, il 97% delle 32 mila persone rimaste senza casa ne hanno ora una nuova. Ma la ricostruzione totale e la messa in sicurezza dei territori colpiti dal terremoto sono tuttora obiettivi lontani. E non dovrebbe essere così, considerato che il governo, al tempo, stimò danni per 7,7 miliardi di euro, autorizzando nel tempo stanziamenti (a partire dal 1997 e fino al 2024), per circa 11,7 miliardi che, attualizzati ai valori odierni, corrispondono a quasi 13,5 miliardi di euro. Rispetto a quella cifra, la spesa effettiva certificata (e finanziata da 42 decreti) è ferma a quota 5,35 miliardi. Nel dettaglio, le autorità hanno emesso oltre 21 mila provvedimenti di inagibilità e si è provveduto ad intervenire su oltre 74 mila edifici tra privati, pubblici e monumentali. Le imprese danneggiate sono state più di 2 mila. La maggior parte dei finanziamenti già impegnati per la ricostruzione e la riparazione di edifici, fabbriche, ponti, ospedali e scuole deriva da risorse statali e regionali (4,6 miliardi), ma una parte importante dei contributi (circa 500 milioni) è arrivata da finanziamenti Ue. I fondi disponibili sono stati destinati alle diverse tipologie di intervento nel rispetto delle linee strategiche e delle priorità stabilite dalla legge 61/98 quali il rapido rientro della popolazione nelle abitazioni principali, la ripresa delle attività produttive, il recupero della funzionalità delle strutture pubbliche e del patrimonio culturale, la permanenza degli insediamenti abitativi e produttivi nelle zone collinari e montane nonché la riqualificazione e valorizzazione dell'ambiente naturale. Nel dettaglio 2 miliardi di euro sono serviti per la ricostruzione del patrimonio edilizio privato perduto, mentre 1,5 miliardi di euro hanno finanziato programmi integrati di recupero di edifici danneggiati. Alle opere pubbliche sono stati indirizzati 400 milioni di euro, mentre i Beni culturali (ben 1.500 le chiese danneggiate a vario titolo) hanno impegnato 360 milioni. I capitoli riguardanti il dissesto idrogeologico e le attività produttive sono stati finanziati con quasi 200 milioni. Occorre ricordare che, a differenza di molti altri eventi sismici italiani, quello che ha riguardato Umbria e Marche ha avuto una risposta finanziaria molto veloce nella sua fase iniziale: alle fine del '98, per le emergenze, erano già stati sbloccati e spesi fondi per 1,2 miliardi.

UN MARE DI DENARO
Per il terremoto dell'Aquila, per il quale inizialmente erano stati stimati danni per 13,7 miliardi di euro, i fondi messi a disposizione complessivamente hanno raggiunto i 21 miliardi di euro. Ben 17 miliardi sono stati stanziati per la ricostruzione. Di questi 10 miliardi dal governo Berlusconi, 1,3 miliardi dal governo Monti, 600 milioni dal governo Letta e 5,6 miliardi dal governo Renzi. A questi vanno aggiunti altri 1,2 miliardi come contributi per gli interessi sui mutui erogati dalla Cdp e altri 2,1 miliardi per la sospensione delle tasse e dei contributi ai residenti e alle imprese della zona. I soldi impegnati fino ad oggi, secondo i dati del ministero del Tesoro, sarebbero circa 18 miliardi, con un tiraggio annuale di fondi che è arrivato aoltre un miliardo. Segno che la ricostruzione dell'Aquila ha subito una forte accelerazione. Ma quello dell'Abruzzo è stato un modello anche molto criticato. Le New town hanno allontanato i cittadini dal centro storico, la città si è svuotata. E ci sono state alcune disposizioni normative discutibili, come quella della cosiddetta «sostituzione edilizia», ossia la possibilità data a chi aveva la casa distrutta di comprarsene un'altra, con il contributo dello Stato, anche in un qualsiasi altro Comune d'Italia. Un invito all'emigrazione, proprio quello che il governo vorrebbe evitare in tutti i modi ad Amatrice e negli altri Comuni colpiti dal sisma del 24 agosto.

QUANDO TREMA IL PIL
Rispetto all'Aquila, l'esperienza post terremoto dell'Emilia Romagna è in qualche misura più positiva. In quel caso il sisma aveva colpito un territorio ad alta vocazione industriale, dove si produce il 2% del Pil nazionale. I danni erano stati calcolati in oltre 13 miliardi di euro, con 14 mila fabbricati danneggiati, 42 mila persone evacuate nelle settimane immediatamente successive. Nei 14 mila fabbricati dichiarati inagibili vivevano 16.547 famiglie. Nel 2016, quattro anni dopo, secondo un rapporto stilato dalla Regione Emilia Romagna, quelle che ancora non sono tornate nelle loro case sono 2.941. In altre parole 19.738 abitanti dei 28.114 interessati, sono rientrati nelle abitazioni. Anche le attività produttive sono riprese, tornando praticamente ai livelli precedenti al terremoto, anche grazie alla concessione di aiuti per 1,25 miliardi di euro. Per la ricostruzione degli edifici pubblici è già stato speso oltre un miliardo di euro.

Per fronteggiare i 13 miliardi di danni subiti, sono stati messi a disposizione fino ad oggi oltre 15 miliardi, dei quali ne sono stati impiegati in tutto circa quattro. Il grosso degli stanziamenti sono due mutui da sei miliardi ognuno messi a disposizione dalla Cassa Depositi e Prestiti, il primo per la ricostruzione privata e il secondo per il pagamento delle imposte, dei contributi e dei premi assicurativi per le imprese. Il fondo per la ricostruzione ha messo poi a disposizione altri 2,5 miliardi di euro e 600 milioni sono le risorse ottenute dalla Commissione europea sul fondo di solidarietà.

Per la ricostruzione delle abitazioni, spiega il rapporto della Regione, sono stati già concessi contributi per 1,8 miliardi di euro a fronte di quasi 10 mila pratiche. Certo c'è da dire che se i dati sono corretti, e non c'è motivo di dubitarlo, si potrebbe osservare che forse le risorse stanziate sono perfino eccessive, se impiegando quattro miliardi si è riusciti a ridare una casa all'80% deglisfollati e a rimettere in moto praticamente tutto l'apparato produttivo.