Veronesi, il gentiluomo che ha inventato la nuova oncologia

Veronesi, il gentiluomo che ha inventato la nuova oncologia
di Carla Massi
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Mercoledì 9 Novembre 2016, 10:41
«Quando dissi ai miei professori che volevo fare l'oncologo mi presero per matto. Un Don Chisciotte che combatteva contro i mulini a vento. Ero al quarto anno, feci pratica all'Istituto dei tumori a Milano. Vedevo solo sofferenza, familiari e pazienti senza speranze. Quella sarebbe stata la mia lotta». Umberto Veronesi, nato a Milano il 28 novembre 1925, raccontava così l'inizio del suo essere medico.
Erano i primi anni Cinquanta. Veronesi, cresciuto in una cascina vicino Milano con quattro fratelli e una sorella, la madre, Erminia Verganti, rimasta vedova quando Umberto aveva sei anni, voleva solo «essere utile e salvare vite umane». Al liceo era stato bocciato due volte, non credeva di poter arrivare alla laurea. La disperata voglia di rimettere in piedi il paese dopo la guerra e il desiderio di riscatto lo hanno sostenuto. Dalla campagna lombarda dove in casa parlava il dialetto, alla guerra («Entrai in clandestinità. Non riuscii a scappare da un campo minato, ci vollero otto interventi per togliermi le schegge») al camice, fino a diventare ministro.

GLI STUDI
Il suo desiderio di salvare lo portò, prima della laurea nel 1952, ad accarezzare l'idea di diventare psichiatra poi ha scelto di essere anatomopatologo, poi oncologo. Contro tutti. «Una vita, soprattutto all'inizio, tra morti e insuccessi. Poi la speranza ma la battaglia, purtroppo, non l'ho ancora vinta» confessava.Veronesi ricercatore, oncologo, chirurgo, politico, uomo in testa alle grandi battaglie come l'ospedale senza dolore, la legalizzazione delle droghe leggere, il sì all'eutanasia, al testamento biologico, all'agricoltura ogm, alla scelta vegetariana, no all'ergastolo. Sì alle centrali nucleari, sì all'adozione da parte di coppie dello stesso sesso.
Dopo la laurea, Londra, poi il ritorno. Si sposa con Sultana, detta Susy, Razon, una pediatra ebrea di origine turche sopravvissuta ai campi di sterminio. Ha sette figli e sedici nipoti. Uno dei figli l'ha avuto con un'altra donna, Emanuela, con la quale ha lavorato per la nascita dell'Associazione per la ricerca sul cancro. «Avevamo una grande affinità intellettuale - si legge nel libro Confessioni di un anticonformista firmata dal professore e Annalisa Chirico - Mi amava molto e voleva a tutti i costi un figlio da me. Sperava che non avrei mai lasciato la mia famiglia ma non le importava. Oggi Francesco è un bravo architetto. Viene a casa nostra, è legato ai fratelli». La signora Susy, pochi anni fa, in un libro ha raccontato il momento in cui ha saputo: «In macchina Umberto mi disse improvvisamente: Ti devo fare una confessione. Guardando fisso la strada: Ho un altro figlio di quattro anni...».

DONNA AD HONOREM
Il professore, qualche anno fa, ha confessato che deve essere stata la forte figura di sua madre a influenzare alcune sue scelte. Tutta la sua vita professionale è stata declinata al femminile. «Mi affascinano le battaglie strazianti di donne innamorate della vita, ciascuna con il proprio modo di trovare conforto e ragione nel combattere». Un'associazione lo ha eletto Donna ad honorem.
E' stata una rivoluzione il suo lavoro all'Istituto tumori di Milano come la creazione dell'Airc, l'Associazione ricerca cancro che finanzia i giovani ricercatori. La sua rivoluzione si chiama quadrantectomia, sconfiggere il cancro senza rinunciare al seno. Asportare la neoplasia evitando la devastazione. Venne osteggiato e criticato dai colleghi italiani e stranieri. Solo le donne lo sostenevano. La prima, una ragazza di 26 anni alle soglie del matrimonio chiese questo intervento, andò bene. Poi, la sperimentazione. «Non ho dormito per dieci anni. Mi dicevo: Se mi sbaglio e viene fuori che il tasso di mortalità tra le pazienti sottoposte a quadrantectomia è più alta, sono un uomo finito». Nel 1981 il New England Journal of Medicine ufficializza la tecnica operatoria e Veronesi entra nell'Olimpo degli oncologi dl seno. Chirurgo che non mangia carne, digiuna una volta a settimana e la sera non rinuncia ad un pezzetto di cioccolata nera.
Negli stessi anni viene minacciato di morte dalle Brigate Rosse. Gli arrivò una lettera di minacce con la stella a cinque punte: «Lei è un cadavere che cammina». «Sconvolsi la mia vita nelle abitudini, negli orari, nel lavoro». All'inizio degli anni Novanta fonda un suo centro di ricovero e ricerca, l'Istituto europeo di Oncologia a Milano.
Protagonista della Milano da bere si è sempre mostrato come outsider. Dal 25 aprile 2000 all'11 giugno 2001 è stato ministro della Salute nel secondo governo Amato.
«Andate avanti, perché il mondo ha bisogno di scienza e ragione» le sue parole, recentemente, alla Fondazione che porta il suo nome.