Oggi, per fortuna, non vi sono eserciti di vandali bellicosi che minaccino le nostre città. Gli abitanti di Roma, di Firenze e di Venezia non si rinserrano più dietro le mura o tra le acque per respingere invasioni ostili. Al contrario. Se ne vanno progressivamente, lasciando il centro vuoto. Se ne vanno per i costi crescenti della manutenzione, per l’immediato guadagno di una vendita vantaggiosa, per la carenza o l’insufficienza dei servizi, per l’insicurezza connessa a un’immigrazione incontrollata, e per molte altre ragioni. Le statistiche in questo senso sono allarmanti e spietate.
Continuando così, tra pochi anni le nostre città più belle saranno alberghi per turisti ricchi, dormitori per stranieri poveri, e ospizi per anziani disabili. I vecchi romani, fiorentini e veneziani saranno spariti in silenzio, uno ad uno, come gli strumentisti degli “Addii” di Haydn. Alla fine sarà rimasto il primo violino, e spegnerà l’ultima candela.
Questo svuotamento dei centri storici è facilmente percepibile anche dal passeggero in transito, che si limiti a osservare le invasioni mattutine e gli esodi serali, nonché il proliferare dei negozi più improbabili che stanno sostituendo le botteghe tradizionali. Ma lo è ancor di più per chi si sofferma sui dettagli minuti: ad esempio le imposte sempre chiuse, o le tracce di campanelli mai sostituiti. Elementi che possono ispirare compassione per la povertà delle famiglie di allora, costrette a vivere intasate in ambienti pericolanti e malsani. Ma che testimoniano l’irreversibile processo di allontanamento da un ambiente ormai considerato estraneo o addirittura ostile, come se si trattasse di una nuova invasione. Certo, al loro posto talvolta sorgono signorili ristrutturazioni o esclusive boutiques. Ma non saranno queste raffinatezze a salvare l’anima di una città: prima di avere i merletti occorre avere le camicie, e prima del companatico, occorre il pane.
È possibile affrancare i nostri centri storici da questo irragionevole ossimoro di degrado lussuoso? Certo che lo è. Per fortuna lo spirito dell’uomo è libero, e le sue scelte non ubbidiscono a un determinismo cieco. Basta avere l’intelligenza per capire il problema, la volontà di affrontarlo, e la forza politica per risolverlo. E benché il pregio artistico delle nostre città possa sembrare un ostacolo a un moderno urbanesimo, esso è in realtà un ostacolo apparente e ingannevole, perché la gloria della nostra tradizione consiste proprio nell’aver progressivamente adattato il presente al passato, dando vitalità al futuro. Roma, Firenze e Venezia non hanno, come Parigi o New York, uno stile omogeneo. Le architetture vi si sono stratificate, sovrapposte e conciliate, come le abitudini e le mentalità dei loro abitanti. Vi sono dunque buone ragioni per smentire Tacito, che in fondo sbagliò proprio sulla religione: quella che lui riteneva esiziale «superstitio» divenne la Chiesa più gloriosa della storia. A meno che, s’intende, non crolli anche quella.
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