Tropea, dimesso dall'ospedale muore in casa sette ore dopo, il figlio scrive alla Lorenzin

Tropea, dimesso dall'ospedale muore in casa sette ore dopo, il figlio scrive alla Lorenzin
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Martedì 24 Gennaio 2017, 15:26 - Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 20:30
«Mio padre è morto da solo in casa all'una di notte dopo che è stato dimesso alle nove di sera dal Pronto soccorso di Tropea» dove era arrivato con «un forte dolore alla pancia», e dove «è stato tenuto più di tre ore non risolvendo il problema e non investigando sulle cause del suo malessere. Come può una persona che si sente male alle 17 del pomeriggio, dopo che si è affidato alle cure di un ospedale, morire da solo a casa 7 ore dopo?».

Dario Francolino, Ceo dell'azienda italiana Axess Public Relations, una carriera spesa sul fronte della comunicazione nel settore medico e farmaceutico, si rivolge così al ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Dopo avere sporto denuncia alla Questura di Vibo Valentia, in una lettera aperta al ministro chiede che intervenga inviando gli ispettori nella struttura sanitaria calabrese. «Perché vorrei evitare che ciò che è successo a mio padre possa capitare a un'altra persona».
«Mio padre Antonio aveva 77 anni - racconta il figlio all'AdnKronos Salute - Aveva scelto di vivere a Spilinga e stava benissimo. Non ha mai avuto segni di cardiopatia fino a domenica pomeriggio, quando dopo un'ottima giornata (fino a un'ora prima era a fare la spesa), ha accusato forti dolori addominali ed è stato accompagnato dal suo medico di famiglia all'ospedale di Tropea».
Qui «è stato fatto solo un elettrocardiogramma, non ripetuto - si legge nella lettera - che ha fatto emergere delle aritmie sinusoidali. Dopo aver letto l'esito 'anomalò dell'elettrocardiogramma alle 21.01, alle 21.08 è stato dimesso dandogli come terapia una soluzione fisiologica e un farmaco anti-ulcera. Mio padre è tornato a casa accusando ancora il dolore e all'1.28 sono arrivati i paramedici allertati da mia madre, che non hanno potuto far altro che constatarne il decesso». Ci sono «troppi punti oscuri e tanti dubbi che io e la mia famiglia vogliamo vengano chiariti», prosegue Francolino che precisa: «In me non c'è rabbia, ma tanta amarezza». L'uomo ricorda: «Mi occupo da 24 anni di salute e medicina, ho visto tanti casi di malasanità e pensavo fossero così lontani da me, invece ne sono rimasto coinvolto». Ora «ho preso atto che mio padre non c'è più. Non sono ancora riuscito a versare nemmeno una lacrima. Voglio solamente onorare la sua memoria, aiutando la magistratura a fare il suo lavoro». 

Francolino vive in Brianza ed è stato avvisato al telefono dai familiari in piena notte. «Erano le 2.20 e il primo aereo non sarebbe partito prima di 4 ore dopo. Quando sono arrivato a casa era già stata allestita la camera ardente», racconta. «Qualunque cosa sia successa quella notte - scrive ancora nella lettera a Lorenzin - e perché sia stata presa la decisione di non ricoverare mio padre», magari indirizzandolo in un centro con «competenza specifica cardiologica» come «Catanzaro o Cosenza», ora «mi deve essere spiegata. Questo - ripete - per onorare la persona di mio padre che era una persona seria, che aveva scelto di tornare a vivere in Calabria perché aveva fiducia nella Calabria e nei calabresi. E invece questa fiducia è stata tradita». «Mio padre ha avuto 7 ore di sofferenza e dei sintomi evidenti», continua il figlio. «Ha avuto 7 ore di tempo per morire e nessuno l'ha mandato in una struttura adeguata», osserva. «Io non ho nessuna prova che lui sia morto per inefficienza o negligenza dell'ospedale di Tropea», però «non posso accettare che mio padre non sia stato tenuto in osservazione quella notte e sia stato mandato a casa con leggerezza e superficialità sconcertante. Dalle 21 alle 24 doveva stare in ospedale», invece «non è stato rispettato un protocollo per cui se hai una sintomatologia devi essere monitorato e tenuto sotto controllo». Il dubbio è che «se fosse rimasto lì probabilmente si sarebbe salvato. O forse no, ma non lo sapremo mai».

«Chiedo con forza l'impegno delle istituzioni», si legge ancora nella missiva. «Chiedo sia fatta luce fino in fondo su eventuali responsabilità senza dare pregiudizialmente colpe a nessuno» e «accetteremo qualunque risultato arriverà».
Mentre la Questura di Vibo ha disposto l'autopsia annullando i funerali del papà, Francolino si rivolge accorato al ministro: «Lei ha appena avuto dei figli. Se dovesse scegliere dove partorire si affiderebbe alle cure di un presidio dove nascono 15 bambini all'anno o in uno dove ci sono 100 parti al giorno?». Anche considerato che «da agosto ci sono stati già una decina di casi di malasanità», incalza, «perché i piccoli ospedali sul territorio che si occupano di tutto senza avere una competenza profonda su niente sono ancora aperti?». Conclude il figlio: «Ho lavorato per un'azienda che si occupa di farmaci oncologici, sappiamo quanti soldi si spendono in questo settore. Anche lei ministro lo sa, visto che ha appena disposto un fondo per i farmaci oncologici che hanno l'obiettivo di prolungare la vita dei pazienti. Si spendono miliardi nel mondo per aumentare di poco tempo la vita delle persone. In questo caso abbiamo lasciato andare una vita senza preoccuparcene». Con «leggerezza inaudita».
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