Dolore e rabbia/ Accartocciati da una tragedia prevedibile

di Paolo Graldi
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Mercoledì 13 Luglio 2016, 00:09
Un fatto è certo, indiscutibile: non si può morire così. Mai, in nessun caso. Poi si cercheranno i responsabili, le colpe oggettive e soggettive, l’errore umano che s’annida nel gesto come un artiglio velenoso, la fragilità dei sistemi di sicurezza inopinatamente inaffidabili, pronti a cedere all’improvviso, senza premonizioni.

l bilancio provvisorio di 27 morti e 50 feriti (alcuni gravissimi), mentre si scava nella notte alla luce delle fotoelettriche in cerca di altre persone, sperabilmente ancora in vita, è un prezzo che supera di gran lunga ogni argine di comprensione. Non poteva e non doveva accadere che due convogli si scontrassero a cento all’ora frontalmente su un unico binario dov’erano messi per correre in alternanza, con le carrozze a formare una scena che soltanto l’abbattersi al suolo di un aereo ha saputo offrirci. Dolore, disperazione, rabbia.
È quest’impasto di impotenza omicida, di insensatezza colposa, che ci mette di fronte ad una realtà che di fronte alla morte diviene inaccettabile ma che la storia di questi binari, specie al Sud, è un racconto infinito del quotidiano, la versione sempre aggiornata e mai cambiata di un lembo di paese nel quale si ragiona ancora volgendo lo sguardo al cielo per invocare la benedizione del santo protettore. È accaduto forse perché doveva accadere quello sfracello di vite spezzate; e doveva accadere perché fatichiamo a convincerci che la scienza e la tecnologia non sono un lusso per pochi, per le saette dell ‘alta velocità che accorciano il Paese a due ore e tre quarti ma un bene disponibile da utilizzare per tutti, in tutti i casi, ovunque sia possibile e utile. E qui, tra Corato e Andria, lo era già progetto nelle carte, ma stentava a diventare cantiere compiuto. Troppi chilometri, attraverso la campagna riarsa e arroventata, solcati da un solo binario malconcio, nero di ferraglia limata dalle ruote delle carrozze che portano pendolari e studenti su e giù e, adesso, anche chi va verso l’aeroporto di Bari, meta recente e portatrice di altri passeggeri. 

Un «fatto inspiegabile» il mantra recitato sulle interminabili dirette dal luogo del disastro dai responsabili della ferrovia privata. Inspiegabile proprio no. E, infatti, col passare delle ore, com’era prevedibile ed inevitabile, la verità si è lentamente fatta largo tra quelle lamiere sbriciolate, trappola micidiale da sciogliere anche con la fiamma ossidrica alla ricerca di un corpo prigioniero e magari ancora con l’alito della speranza di venir estratto da quell’inferno di latta e plastica, sbranate dall’urto spaventoso. I soccorsi, quelli sì, hanno funzionato bene. Immediati, tenendo conto del contesto quasi inaccessibile per vie normali. Una tenda ospedale per i primi soccorsi tirata su in fretta e bene, gli elicotteri impegnati in una spola contro il tempo nel portare i feriti negli ospedali, la corsa dei volontari per donare il sangue richiesto, altro segno della deflagrazione che ha inferto sofferenze speciali. 

Il presidente Mattarella esprime un cordoglio talmente profondo parlando di «tragedia inammissibile» e il premier Renzi, che vola a sera sul luogo per testimoniare di persona la vicinanza e il cordoglio del governo, reclama una «totale chiarezza» e la ministra Boschi ammonisce che «il governo non farà sconti a nessuno», come se fosse aria di lasciar perdere. È un dolore che viene posseduto dalla rabbia questo, per tutti. Nell’Italia che aspira alla banda larga da Sondrio a Cefalù c’è un 80% del traffico su un solo binario controllato da un computer ma il rimanente 20% è affidato a un telefono, sicché uno dei due macchinisti si è mosso e ha intrapreso il suo viaggio mentre doveva stare fermo ad aspettare che passasse l’altro, proveniente dalla parte opposta. Bene l’ovvia inchiesta amministrativa accanto a quella giudiziaria sorretta dalle ricerche dei periti ma bene anche uno slancio formidabile, uno scatto d’ira che si trasforma in orgoglio nazionale, per richiedere, senza sconti appunto, una inchiesta sullo stato delle ferrovie, in particolare delle linee periferiche, là dove le proteste per i disservizi e gli incidenti, per fortuna senza vittime, vengono archiviati come lamenti piagnucolosi ma senza fondamento reale. 

L’imprevisto e l’imprevedibile vanno drasticamente ridotti a numeri vicino allo zero e senza virgole. Lo strazio che ci ha coinvolto e che accompagnerà le prossime giornate di autentico lutto, con tutte le storie di dolore incancellabile che si trascinerà dietro dovrà almeno servire a imporre un patto con la realtà che dev’essere cambiata e presto. L’errore umano in agguato, la macchina infedele che tradisce gli ordini non bastano a consolarci, non cancellano i lutti, non alleviano il dolore. Un dettaglio convince più di ogni altro: si può.
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