Tragedia Rigopiano, soccorsi deviati per aiutare i raccomandati

Tragedia Rigopiano, soccorsi deviati per aiutare i raccomandati
di Paolo Mastri
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Lunedì 27 Novembre 2017, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 28 Novembre, 12:25

 Più delle telefonate della vergogna, più della iattanza di troppi funzionari appostati nella catena di comando, tra Prefettura, Provincia e centrale del 118. Più della gamma di rispostacce che va dal «non devono rompere» alla «mamma degli imbecilli sempre incinta». Molto di più, sulla giornata maledetta del 18 gennaio scorso e sulla strage dell’hotel Rigopiano, dirà un altro stock di intercettazioni contenuto nell’informativa del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri che, insieme agli atti dell’inchiesta, da oggi sarà a disposizione delle difese dei 23 indagati per disastro colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni personali e altro. Neutre nei toni, non direttamente rilevati sul piano penale, non ancora almeno, ma senz’altro utili a completare una ricostruzione di contesto che fotografa la totale impreparazione della macchina dei soccorsi di fronte alla nevicata più eccezionale dell’inverno scorso.

Le telefonate sono quelle che partono dalla segreteria del presidente della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso. A parlare è Claudio Ruffini, politico di lungo corso del Pd abruzzese, all’epoca capo dello staff personale del governatore. Anche lui, come il funzionario dell’ufficio viabilità della Provincia Mauro Di Blasio, sembra essere il grande collettore delle richieste di intervento mediate dalla politica: prima quella strada, prima quel paese, prima quella contrada, a prescindere dalle reali ragioni di urgenza e da un ordine di priorità dettato dalla gravità del quadro meteo, ma solo perché così vogliono i politici di riferimento. 

«Il presidente chiede che sia aperta subito la strada per Abbateggio», «il presidente vuole uno spazzaneve per la strada di Passolanciano», elenca al telefono Di Blasio con il suo capo Paolo D’Incecco, dirigente del servizio viabilità. Che quando arriva il turno della richiesta del direttore dell’hotel Rigopiano, da ore completamente isolato, risponde bruscamente: «Quello dell’albergo non deve rompere il c...».

LE INTERCETTAZIONI
Non sono diverse nel tenore le pressioni arrivate fin dalle prime ore di quella mattina dalla segreteria del governatore. Il Noe le ha intercettate perché all’epoca Claudio Ruffini era sotto inchiesta per una serie di appalti, a partire dalla ristrutturazione di palazzo Centi, sede aquilana della presidenza della Regione.
Su questa sorta di manuale Cencelli della protezione civile, che non ha tenuto conto degli ostaggi di Rigopiano, ma neanche di tanti anziani dializzati bloccati in vari centro dell’Abruzzo interno, i Carabinieri hanno costruito buona parte delle contestazioni rivolte al filone provinciale del 23 indagati per la strage di Rigopiano: 29 morti tra gli ospiti e i lavoratori del resort di lusso alle pendici del Gran Sasso, 9 feriti con gravissime lesioni permanenti, due soli scampati al crollo della struttura investita dalla valanga. 

Più in generale, il capitolo delle telefonate della vergogna, quella di D’Incecco, quella della funzionaria della prefettura che snobba le richieste di soccorso rimbalzate dal cuoco Quintino Marcella, quella del responsabile del 118 Vincenzino Lupi, che induce in errore il direttore dell’hotel Bruno Di Tommaso, disegna un quadro di totale disorganizzazione della macchina dei soccorsi nelle ore cruciali che precedono e seguono di poco la valanga staccatasi dal Monte Siella intorno alle cinque del pomeriggio.

I PERMESSI
Un caos operativo a valle che potrebbe finire per ridimensionare il filone di responsabilità a monte della tragedia: la mancata approvazione della Carta del pericolo valanghe da parte della Regione, i permessi rilasciati dal Comune di Farindola per l’ampliamento dell’albergo e per la costruzione del centro benessere, l’assenza di un piano regolatore avallata da almeno tre sindaci per non ostacolare le richieste dei proprietari del resort. Uno dei quali, Roberto Del Rosso, morto nel crollo insieme al fratello dell’ex sindaco Massimiliano Giancaterino. 
Tutto vero, tutto provato da atti, documenti e migliaia di mail sequestrate dagli investigatori. Ma un dato di verità, dopo dieci mesi di indagini della Procura della Repubblica di Pescara, comincia ad affermarsi sugli altri. Al momento della valanga assassina, il pomeriggio del 18 gennaio, da ore l’hotel Rigopiano sarebbe dovuto essere vuoto. Le condizioni per l’evacuazione erano chiare fin dal mattino. Se solo qualcuno avesse risposto a tono. Se altri non avessero prestato più attenzione alle richieste dei politici che alle vere urgenze di giornata.
 

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