Torino, otto referti dell'ospedale ma il Tribunale assolve l'uomo dall'accusa di maltrattamenti alla compagna

Torino, otto referti dell'ospedale ma il Tribunale assolve l'uomo dall'accusa di maltrattamenti alla compagna
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Mercoledì 3 Gennaio 2018, 22:05 - Ultimo aggiornamento: 4 Gennaio, 18:22
Nove certificati medici rilasciati dai pronto soccorso in otto anni non contano: l'imputato deve essere assolto dall'accusa di maltrattamenti ai danni della convivente. Un pò perché in alcuni casi le lesioni non c'entrano nulla con le botte o con il comportamento dell'uomo: una caduta, l'urto accidentale su una mensola, persino un
incidente stradale. Ma soprattutto perché si tratta di episodi sporadici, nati da «situazioni contingenti e particolari». Niente di riconducibile «all'imposizione di un sistema di vita tale da porre la vittima in uno stato di prostrazione sia fisica che morale».

E' quanto stabilito dalla sentenza con cui un giudice del tribunale di Torino, Maria Iannibelli, ha chiuso un processo sul tumultuoso rapporto fra un quarantunenne (senza occupazione dal 2008) e una donna (che svolge lavori occasionali di pulizia) residenti in provincia. Convivenza cominciata nel 2006 e interrotta nel 2014, quando lei scoprì che lui la tradiva con una sua amica. Nel frattempo erano nati una bimba e un bimbo.

L'imputato, comunque, di qualcosa è colpevole. Dopo aver lasciato casa, smise di contribuire al mantenimento dei figli. «Non ho un impiego», ha detto. Ma non ha dimostrato di essere senza un soldo. Il giudice lo ha anche rimproverato: «Anche ammettendo che abbia difficoltà economiche, nulla lo esime dal trovarsi un'occupazione». Risultato: sei mesi di carcere (con la condizionale) per violazione degli obblighi di assistenza familiare. La procura aveva chiesto tre anni e nove mesi di carcere.

Spinte, pugni, calci, insulti: «sei una madre di m..., ammazzi di botte i figli per non farmeli vedere, sei marcia». Ma la giudice ha letto la vicenda in modo diverso: «Conflittualità reciproca. Era un litigio continuo, dovuto al fatto che l'imputato, da quando era stato licenziato, non si era adoperato per trovare un lavoro. Lui insultava, ma anche lei rispondeva agli insulti». Una parte lesa che la sentenza definisce «soggetto particolarmente esuberante», la cui testimonianza in aula non «ha brillato per linearità e coerenza».

Le lesioni sono dovute ad «atti episodici», si legge. Non solo. «Dall'esame della persona offesa e dei testi - scrive Iannibelli - non è emersa, riguardo al reato di maltrattamenti, una situazione di sottoposizione della donna a una serie di atti di vessazione continui, e tali da cagionare un disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di vita».
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