L’organizzazione/ La scelta sbagliata nel catino di follia

di Paolo Graldi
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Lunedì 5 Giugno 2017, 00:06
Le analisi del giorno dopo convergono su un interrogativo crudo e severo.
Era possibile evitare il disastro collettivo di piazza san Carlo nella notte per la Champions? Era prevedibile che un qualsiasi evento non calcolato producesse un gigantesco effetto domino in grado di trasformare la folla in uno tsunami umano incontenibile? Alcune risposte, con la prudenza del caso, si possono già dare ora, nel momento in cui si rivedono gli spezzoni di riprese con gli smart phone che mostrano i tifosi accorsi nella speranza di festeggiare la vittoria, stipati all’inverosimile in quella scatola di muri e di portici, ondeggiare paurosamente e poi ribollire nel marasma come prigionieri in una pentola a pressione. 

Lo scoppio di due petardi sotto il maxischermo, ma non è del tutto certo, gesto insensato di qualche sconsiderato ha innescato una Ola impazzita, è apparso sul cielo di quella piazza lo spettro delle bombe, degli attentati e allora tutto si è trasformato in un attimo in un fiume in piena, una marea umana alla ricerca di una via di fuga. La salvezza da un pericolo percepito come reale, immanente, avvolgente. Non c’è niente di più irrazionale della folla che si muove, che cerca scampo, che travolge tutto e tutti, perché essa cerca la salvezza scappando via. Via dalla pazza folla. Ora è lecito chiedersi, al di là di un passato rassicurante e senza traumi, se la decisione di racchiudere in quello storico catino migliaia di persone abbia valutato i rischi incombenti, in una condizione psicologica a bassa tenuta e esposta a gesti irrazionali. I 1500 e passa feriti curati con generosa professionalità nella notte negli ospedali del centro città e dalle tende subito montate dimostrano che la vendita delle bottiglie di birra, lasciate cadere nella fuga, è una delle cause di tanto dolore.

La piazza si è presto trasformata in un tappeto di frammenti taglienti mentre chi scappava si libererà delle scarpe o le perdeva nella concitazione generale. I pezzi di vetro hanno compiuto una cospicua parte di danni; il resto va attribuito alla calca della fuga sicché a decine sono stati calpestati e qualcuno rischia ancora la vita. Era inevitabile che il ministro Minniti, titolare del Viminale, esperto nella materia, e sorretto da un gruppo di intelligenze d’eccellenza, convocasse d’urgenza i vertici dell’ordine pubblico perché, fortunatamente senza assalti terroristici, l’evento di Torino rappresenta una sorta di prova sugli effetti del panico. Ha chiesto di mantenere alti i livelli di sicurezza in tutte le forme che da tempo sono applicate. Nella stretta è chiaro lo sguardo è rivolto al massacro di London Bridge e all’estremo allarme nel Regno Unito. 
La paura, quella che dobbiamo affrontare e dominare con lucida freddezza nei gesti quotidiani per prevenire assalti al nostro vivere, resta una bestia impazzita e feroce se lasciata libera di dispiegarsi. E, dunque, non bisogna concederle spazi e modi. I grandi assembramenti rappresentano sempre e comunque un rischio. Quel rischio va calcolato in tutte le sue dimensioni possibili, anche quelle minime che possono esplodere in maniera incontrollata. Gli spagnoli del Real Madrid, gli avversari della Juventus, per la gioia dei tifosi in attesa della festa di popolo, li hanno racchiusi allo stadio Bernabeu, dove i controlli all’entrata sono un filtro sottile e attento ma, soprattutto, ognuno siede in un posto numerato, le vie d’uscita sono state pensate per consentire deflussi regolari e le forze dell’ordine dispiegate in punti strategici.

Così la folla riceve una disciplina logistica e organizzativa, segue un copione, una regia. Tutto ciò a Torino non è accaduto, forse non è stato adeguatamente previsto. Non possiamo rinunciare all’idea di partecipare a un concerto, a un comizio, a un raduno perché il contrario significherebbe cedere una parte di un bene irrinunciabile, la nostra libertà di movimento. E però i tempi che corriamo restringono i margini del nostro stare insieme e non possono offrire il fianco a malintenzionati. Una riflessione ampia e sgombra da facili ideologismi andrà fatta per poi pianificare misure e contromisure di sicurezza. Procurato allarme, è il reato sul quale la Procura della Repubblica di Torino si sta muovendo. Dunque i “botti” scatenanti sono ritenuti probabili. Bene, proprio per quel che è detto fin qui, ci si dovrebbe aspettare la proibizione assoluta e integrale di qualsiasi petardo, mortaretto, castagnola: qualsiasi cosa che assomigli a uno sparo, a una bomba, a una deflagrazione vera. 
Un filmatino di quei tremendi minuti mostra un giovane a torso nudo con uno zainetto sulla spalle che si muove come uno zombi mentre tutto intorno gli si fa un vuoto: la gente scappa, inciampa sui corpi caduti, è preda del terrore. 
Non era niente di che, ma va a saperlo. Un matto esibizionista scambiato per un kamikaze. Un dubbio rispettabile che ci racconta l’effetto che fa.
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