Ad avviso della Suprema Corte, quella dell'ex ad e degli altri dirigenti, è una «colpa imponente» tanto «per la consapevolezza che gli imputati avevano maturato del tragico evento prima che poi ebbe a realizzarsi, sia per la pluralità e per la reiterazione delle condotte antidoverose riferite a ciascuno di essi che, sinergicamente, avevano confluito nel determinare all'interno» dello stabilimento di Torino «una situazione di attuale e latente pericolo per la vita e per la integrità fisica dei lavoratori».
I supremi giudici affermano inoltre che quella commessa è stata una «colpa imponente» anche per «la imponente serie di inosservanze a specifiche disposizioni infortunistiche di carattere primario e secondario, non ultima la disposizione del piano di sicurezza che impegnava gli stessi lavoratori in prima battuta a fronteggiare gli inneschi di incendio, dotati di mezzi di spegnimento a breve gittata, ritenuti inadeguati e a evitare di rivolgersi a presidi esterni di pubblico intervento».
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