Quel gesto fragile di Tiziana e i limiti per chi usa il web

di Sebastiano Maffettone
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Venerdì 16 Settembre 2016, 00:07
Non tutto quello che si può fare si deve fare. Questa è la legge principale che regola i rapporti tra progresso tecnologico e principi della morale e del diritto. Riguarda la genetica, la fisica nucleare, l’informazione e le sue ricadute pubbliche, le questioni ambientali e in generale l’impatto della scienza nella società. 

Si possono creare mostri genetici, novelle chimere, ma non è il caso di farlo. Lo stesso vale per le bombe atomiche, la gogna mediatica e l’inquinamento da gas. Naturalmente, per questo non bisogna accusare la scienza, come pure fanno i pensatori reazionari, ma responsabilizzare la politica nel senso più ampio del termine. Tocca infatti alla politica stabilire quali limiti debbano valere nei singoli ambiti tecnologici e industriali e quali regole servano per assicurare il rispetto di questi limiti. Ulisse si fece legare all’albero maestro per non essere tentato dal canto delle sirene. 

La società, ponendo limiti e regole al progresso tecnologico deve fare qualcosa del genere nell’interesse generale. E, come è facile comprendere, spesso non è semplice riuscire in un’impresa siffatta. Le spinte economiche e tecnologiche infatti sono tali da rendere duro il cammino di chi si muove nello spirito del rispetto dei limiti allo stesso tempo ammirando il progresso scientifico. 
Una premessa di questo tipo è necessaria per affrontare con tutta la serenità possibile un caso drammatico e preoccupante come lo è quello di Tiziana Cantone. Ma non è sufficiente. Perché bisogna riconoscere che l’universo del web ha reso questo tipo di problema particolarmente grave e urgente. La morte di Tiziana è una tragedia dovuta alla superficialità della ragazza, che ha appiccato il fuoco con il video hard e ne è rimasta vittima, e alla stupidità delittuosa di molti. Ma è al tempo stesso la punta di un iceberg. Rivela infatti e sottopone all’attenzione generale una questione più vasta che ha a che fare con il diritto a preservare la propria intimità e la propria riservatezza contro gli attacchi continui che le sono portati dalla invasività della rete. Ma che chiunque da utente deve ricordare prima di darsi in pasto al web. 

La vicenda è antica e coeva con la nascita della stampa. Ne aveva scritto, con dovizia di argomenti, anche Soeren Kirkegaard, vittima ai tempi suoi di una campagna giornalistica diffamatoria. La questione è duplice perché riguarda da un lato la tutela della propria immagine e dall’altro la durata. Il che vuol dire che, se devo potermi difendere da accuse ingiustificate, dovrei pure essere protetto dalla durata potenzialmente infinita di informazione vere sul mio conto. È ben possibile che abbia commesso qualcosa di cui non sono fiero molti anni fa, ma non è detto che i media abbiano il diritto di ricordarlo a tutti e per sempre. Esiste in sostanza un diritto all’oblio che, in tutte le democrazie, protegge il cittadino dal perdurare sui media di informazioni rilevanti che lo riguardano e che il cittadino stesso vorrebbe mantenere riservate. Ma un diritto del genere può (forse) farsi valere con la carta stampata. Risulta molto più difficile proteggerlo nell’ambito del web. A prima vista, il web ha una sorta di eternità immanente, che si oppone per così dire naturaliter a ogni forma di cancellazione.
E tuttavia non si tratta, al solito, solo del mezzo tecnologico. Come si diceva alla fine della fiera la questione è di natura politica. I grandi gestori del web non hanno interesse a cancellare la propria memoria in nome della tutela della privatezza. Di conseguenza, agiscono lobbisticamente in difesa di questa volontà negligente. E ve lo immaginate voi il deputato di Catanzaro o di Cuneo che si confronta con gli esperti di Google o di Facebook sulla questione del diritto all’oblio? Francamente, non c’è partita. La cosa, se possibile, diventa ancora più complicata se al server principale si aggiungono migliaia di telefonini ognuno con il suo software. 
Tutto ciò non vuol dire, a parere mio, che ci troviamo in un cul de sac definitivo. Piuttosto dobbiamo fare tutti assieme uno sforzo per rendere la questione etica e giuridica sull’informazione centrale anche nella prospettiva dello sviluppo industriale e tecnologico del settore. Dai curriculum accademici alle patenti legali, tutto il settore deve trattare la necessità di limitare l’informazione come un vincolo interno e non esterno. 
Il che vuol dire che le norme regolatrici devono costituire parte integrante dell’architettura del sistema informatico. Roba insomma per computer scientists e non solo per filosofi, giuristi e religiosi. Solo in questo modo capiremo come limitare l’informazione pericolosa e soprattutto potremmo prevenirne l’uso invece che inseguirne le conseguenze. Alla politica resta il compito non banale di comprendere prima e imporre poi una modifica di sistema di questo tipo.
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