Terrorismo, ricercatrice fermata a Palermo voleva portare in Italia il nipote jihadista

Terrorismo, ricercatrice fermata a Palermo voleva portare in Italia il nipote jihadista
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Mercoledì 23 Dicembre 2015, 15:44
Ufficialmente titolare di un dottorato di ricerca all' università, Khadiga Shabbi, 45 anni, di Bengasi, fermata dalla polizia a Palermo, svolgeva una intensa attività di proselitismo e propaganda. La donna usava, per le sue comunicazioni, soprattutto Facebook e Whatsapp, ritenendoli mezzi difficilmente intercettabili. Dall'inchiesta è emerso che aveva  apporti con foreign fighters tornati in Europa dopo aver combattuto in Libia e Medio Oriente.

Shabbi è zia di un combattente del fronte islamico: il giovane le avrebbe chiesto istruzioni per arrivare in Italia insieme a un compagno d'armi e sfuggire alla cattura dell'esercito regolare libico. In una telefonata intercettata dalla Digos, Khadiga, in data 12 febbraio 2015, parlando con la sorella Aziza le confidava di avere intenzione di fare iscrivere il nipote a un corso di italiano. Suggeriva «di fare recare il nipote in Tunisia presso l'Ambasciata italiana dove, in seguito all'iscrizione alla scuola di italiano per stranieri, avrebbe ottenuto il visto di ingresso per l'Italia», dicono gli inquirenti. La donna «grazie alla consolidata amicizia con la responsabile della Scuola di italiano per stranieri, Tresa Bevilacqua- scrive il gip - si attivava per iscrivere altri soggetti presso la scuola, in modo da fare ottenere loto il rilascio del visto di ingresso per motivi di studio e, una volta giunti in Italia, il rilascio del permesso di soggiorno, delineando sempre di più il ruolo di favoreggiamento ai soggetti legati alle milizie islamiche impegnate nel conflitto bellico, nonché del continuo supporto logistico svolto». Ma il giovane Abdelrazeq è poi morto in combattimento in Libia.

Shabbi aveva inoltre insultato e minacciato di morte una connazionale che aveva criticato il capo di una delle organizzazioni islamiche integraliste per cui simpatizzava. «Quella stronza, le auguro la morte per strada». Poi raccontando di un suo incontro con la connazionale aggiungeva: «io sono venuta per minacciarti se parli ancora di questi uomini». Le minacce della ricercatrice avevano talmente terrorizzato la destinataria da indurla a chiedere l'aiuto del fratello che vive in Libia e che avrebbe cercato di calmare la Shabbi telefonandole. 
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