Finita l’emergenza/ Terremoto, la grande sfida è riprogettare l’intero Paese

di Oscar Giannino
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Sabato 24 Settembre 2016, 00:24

A un mese dal terremoto che ha duramente colpito l’Italia centrale a cavallo tra Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria, si avvia a compimento il primo dei quattro stadi degli interventi necessari post sisma. La macchina dell’emergenza - che ha dato buona prova - ha già avviato lo smantellamento delle tendopoli provvisorie nelle quali erano assistite circa 3 mila persone, ed entro 7 mesi promette la completa realizzazione delle soluzioni abitative provvisorie. 
Delle oltre 60 mila richieste di sopralluogo per verificare l’agibilità degli edifici colpiti ne sono state già svolte oltre 12 mila, con una percentuale di inagibilità totale che supera un terzo dell’ispezionato. Dei 648 edifici scolastici il 72% è agibile, il 6% completamente inagibile, e la parte rimanente agibile solo dopo interventi che possono essere realizzati d’urgenza e in tempi rapidi. Il bilancio complessivo di quanto è stato fatto in quattro settimane si può definire molto soddisfacente.
Purtroppo, a ogni evento sismico in Italia la macchina dei soccorsi e degli interventi emergenziale impara molte cose nuove, ed è pronta a metterla a frutto la volta successiva. Quel che più conta è che intanto sta anche partendo lo stadio successivo, quello della ricostruzione. La prima stima dei danni venuta ieri e condivisa dal premier, dal commissario Errani e dai vertici della Protezione Civile, è in realtà davvero molto conservativa, alla luce dell’elevata percentuale delle totali inagibilità rilevate dalle prime migliaia di ispezioni. 

Ma quel che conta è che fin da subito si è fatto tesoro delle lezioni che hanno enormemente ritardato la ricostruzione all’Aquila: quindi sì anche alla ricostruzione delle case dei non residenti, perché altrimenti i centri storici delle località colpite resterebbero in terra per anni come avvenuto in passato, e sì a una ricostruzione il più possibile «dov’era e com’era». Non ovviamente per i materiali e le strutture decisive per la portanza degli edifici e per la loro resistenza a scosse di intensità 6, ovviamente. Bensì dal punto di vista della massima tutela possibile della specificità storica, urbanistica e paesaggistica delle aree colpite. L’intenzione - giusta – è di evitare gli errori del passato. Borghi medievali e tessuti urbani sette-ottocenteschi non devono essere rimpiazzati da new town altrove. L’esperienza ha dimostrato che in quel caso i residenti andrebbero via, e anche le imprese commerciali e artigiane – 300 di esse sono scomparse all’Aquila dal 2009 - oltre a perdere ciò che Amatrice, Arquata e Accumoli e gli altri centri erano nella storia.

A proposito di aziende, e visto che il commissario è l’ex presidente dell’Emilia Romagna Vasco Errani, con il decreto atteso entro il 3 ottobre devono essere indicati con precisione le quote per l’ammissione dei privati al risarcimento dei danni. La lezione del terremoto emiliano di 4 anni fa va tenuta ben presente. Niente quote annuali e pagamenti dilazionati. È vero che la tipologia d’impresa che si addensava nei distretti emiliani colpiti poneva un problema di diverso ordine di grandezza, rispetto a quello attuale. Ma è altrettanto vero che in molti casi in Emilia è stata proprio l’organizzazione in filiere integrate a doversi far carico di decisioni molto onerose, dal ripristino del circolante e dei beni strumentali a proprio carico fino a spostare pe intero le produzioni. Errani ieri ha preso un impegno preciso in questo senso. Bisogna coinvolgere ventre a terra le quattro Regioni interessate, immediatamente mobilitando anche i loro strumenti finanziari di sostegno all’impresa. 

Il terzo e il quarto stadio stanno partendo anch’essi: la quantificazione e disponibilità delle risorse necessarie al di là dell’emergenza, e la partenza di una struttura progettuale e realizzativa senza precedenti e molto complessa, quella volta entro un certo numero di anni alla messa in sicurezza antisismica e idrogeologica delle aree più a rischio del paese. 
Per le risorse, è noto che l’interpretazione letterale del patto di stabilità europeo e del Fiscal Compact distingue le spese per l’emergenza – fuori dal tetto di deficit – da quelle per interventi strutturali. E attualmente i rapporti tra governo italiano, Francia e Germania non sono distesissimi, dopo la netta insoddisfazione italiana per le conclusioni del summit di Bratislava. Renzi ieri ha esplicitamente detto di voler considerare quanto meno tutti gli interventi di messa in sicurezza di scuole e ospedali come fuori dai vincoli europei. Invitando tutti gli amministratori locali a segnalarne immediatamente la necessità e ad avanzare immediatamente progetti. Non si tratta solo del ripristino e del consolidamento o, in alcuni casi, della vera e propria ricostruzione dei 18 edifici scolastici oggi inagibili nel cratere. Ma di avviare da subito e nel tempo gli interventi di prevenzione – individuano gradualmente le aree interessate, a cominciare da quelle a maggior rischio nella fascia 1 mappata dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – sulle ben 24 mila scuole italiane stimate non a norma antisismica. Giocoforza, l’ammontare delle risorse dipenderà anche da una delicata trattativa con l’Europa sul tema. Perché a stare alla lettera delle norme vigenti, la prevenzione non è fuori dal tetto di deficit.

Il confronto con l’Europa è collegare però al quarto stadio, quello che il governo definisce Casa Italia. Di cui per la prossima settimana è attesa la definizione della cabina di regia, che amplierà e assorbirà gli uffici presenti a palazzo Chigi per il dissesto idrogeologico e l’edilizia scolastica, nonché una terza funzione addetta alla gestione degli ecobonus e all’incentivazione di assicurazioni contro grandi rischi sul patrimonio immobiliare dei privati. Il rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone, a capo della nuova struttura, è chiamato a un compito che in Italia non ha precedenti. Mobilitare tutte le eccellenze italiane in campo urbanistico, architettonico, della conservazione e ristrutturazione del patrimonio del paese. Dar vita a un motore progettuale policentrico, insieme centrale e incardinato a rete nei territori. Alimentare una partnership pubblico-privata sia per la finanza sia per la realizzazione degli interventi. Nel quadro di una entità organizzativa snella, pienamente trasparente, e non caratterizzata dal principio della deroga alle norme del nuovo codice degli appalti. Le deroghe hanno sempre portato dritto alle indagini delle procure, come sappiamo. 
Casa Italia è la più grande sfida dalla ricostruzione italiana del Dopoguerra. È la grande occasione per mettere a frutto tutto ciò che Giappone e California fanno tecnicamente da decenni, ma nel nostro caso in coerenza all’evoluzione e alla tutela del patrimonio storico di un Paese irriducibile agli altri, com’è l’Italia.
 
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