Sulmona, indagato il 50% degli impiegati

Sulmona, indagato il 50% degli impiegati
di Patrizio Iavarone
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Mercoledì 26 Ottobre 2016, 08:12 - Ultimo aggiornamento: 27 Ottobre, 08:36

SULMONA Comune chiuso per assenteismo. Possibilità vera, che si prospetta per la prima volta in Italia. Succede a Sulmona, dove è indagato quasi il 50 % dei dipendenti municipali. E lo spettro della paralisi amministrativa viene evocato dallo stesso sindaco Annamaria Casini, che a quattro mesi dal suo insediamento si è svegliata ieri con la metà del personale indagato per truffa ai danni dello Stato, false attestazioni e certificazioni nell'uso dei badge da parte di dipendenti pubblici. I famosi e famigerati furbetti del cartellino.
L'inchiesta della Guardia di finanza, coordinata dal Pm Stefano Iafolla, dopo sette mesi di appostamenti, pedinamenti e riprese video, punta il dito contro ben 46 dipendenti su un totale di 102. Insomma, quasi mezzo Comune e non è un modo di dire. Non è solo questione di numeri. La legge Madia entrata in vigore nel luglio scorso prevede che la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l'immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente: tempo 48 ore, insomma, e quella metà del Comune potrebbe dover restare a casa. «Faccio appello alla magistratura e alla Guardia di finanza a chiudere nel più breve tempo possibile le indagini per arrivare a individuare con certezza chi si è macchiato di una così grave colpa - commenta il sindaco - è fortissimo il rischio di una vera e propria paralisi della macchina comunale». «Se i numeri fossero confermati - aggiunge l'assessore al Personale Cristian La Civita - dovremo chiedere aiuto al prefetto sul come procedere per evitare il blocco dell'attività».

A supporto delle accuse ci sono ore ed ore di riprese video, ma anche di riscontri effettivi sul campo, con dipendenti del Comune bloccati con tanto di scontrino dopo lo shopping in orario di lavoro. E ancora il rituale della timbratura con dipendenti che strisciavano anche cinque badge alla volta (il loro e quello dei colleghi) e chi, senza neanche togliersi il casco, registrava la sua presenza ed usciva a fare un giro in bici. Chi non riusciva a timbrare, inoltre, presentava una successiva giustificazione scritta o verbale per sostenere di essere stato a lavoro senza poterlo registrare, perché aveva dimenticato il badge a casa o che la tessera non funzionava.

E poi le passeggiate lungo il corso della città, gli acquisti al mercato il mercoledì, i caffè al bar che si trasformavano in brunch, le file alla Posta per pagare le bollette e il rientro a casa a fare colazione o a sbrigare le faccende domestiche subito dopo aver timbrato il cartellino. Tutto durante l'orario di lavoro: non una scappatella, piuttosto un comportamento seriale e ripetuto nel tempo, anche più volte al giorno, che non risparmiava neanche l'uso illecito dei buoni pasto ai quali non si aveva diritto. «Stigmatizzo con forza e censuro come dipendenti infedeli chi - aggiunge il primo cittadino -, in un momento di grave crisi occupazionale e in una nazione dove i cittadini chiedono alla politica di ridurre gli sprechi e la spesa pubblica, approfitta di una situazione di privilegio cercando di frodare la pubblica amministrazione e la stessa cittadinanza».

L'informativa è stata trasmessa anche alla Corte dei Conti che, come stabilisce la legge, dovrà stabilire sanzioni non solo per le ore di lavoro truffate, ma anche per il danno all'immagine della pubblica amministrazione: «Non inferiore a sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia».