Eravamo rimasti al ritorno del figliol prodigo, al tributo caloroso del pubblico dello stadio di Caracalla per la sua prima vittoria subito al rientro, l’8 maggio scorso, dopo una squalifica di quasi 4 anni, all’abbraccio del presidente del Coni Malagò. Ma anche alle proteste dei suo compagni, quelli che non hanno mai fallito un test; «è la vergogna d’Italia» aveva tuonato il saltatore Tamberi, probabilmente oggi il migliore atleta azzurro.
Ci si era divisi sull’opportunità del suo ritorno alle competizioni. Alex Schwazer sì, Alex Schwazer no. Senza considerare fino in fondo che a chiunque sia stato scoperto, giudicato e condannato, nello sport come in qualsiasi ambito della vita civile, una società ha il dovere di dare una possibilità di riabilitazione e di riscatto. Anche a un campione che, forse pure perché abbandonato da chi l’aveva cresciuto, tecnici e dirigenti federali, ha cercato disperatamente di rimanere a galla barando.
Oggi però ci tornano in mente altri particolari, che nell’euforia del momento, della vittoria in Coppa del mondo, quel giorno avevamo un po’ trascurato. Si era sottolineato allora che Schwazer era diverso dagli altri puniti per doping, perché lui, splendida eccezione, aveva avuto la forza di riconoscere le proprie responsabilità. Ma allo stesso tempo avevamo passato sotto silenzio che prima, nel tentativo di farla franca, aveva coinvolto e inguaiato persone che, al contrario di lui, probabilmente non avranno la possibilità di ritrovare la via del riscatto, tecnici, medici, funzionari federali, persino la ex fidanzata, Carolina Kostner, campionessa di pattinaggio, messa all’indice per amore.
Ci è ricascato. Questo dicono i risultati delle analisi. Fino a prova contraria. Se è così, basta, non parlateci più di lui, per favore. Nessun alibi, nessuna discussione. Così come gli avevamo riconosciuto il diritto di tornare a gareggiare scontata la squalifica, adesso esigiamo con altrettanta decisione che venga definitivamente radiato, se gli è stata trovata una sola molecola di anabolizzante. E con lui, in questo caso, visto come lo sta difendendo, mettete sotto processo sportivo anche il professore Donati, un professionista dell’antidoping, tornato alla ribalta dopo anni di battaglie coraggiose, ma spesso perdenti, che ora ha curiosamente deciso di passare dalla caccia alla riabilitazione dei colpevoli.
Ma se le contro-analisi dovessero ribaltare il verdetto, allora bisogna che si agisca fino in fondo contro i responsabili di questo grande pasticcio, italiani o stranieri che siano. Perché l’odore di pasticcio resta nell’aria. Il controllo del primo dell’anno, l’esito negativo ribaltato a mesi di distanza, il viaggio delle provette, i valori del sangue monitorati, quotidianamente messi a disposizione dallo staff di Schwazer e sempre giudicati puliti dall’antidoping nostrano. Ci sono dubbi da chiarire? Chiariteli in fretta. Anche se resta difficile credere a un complotto ai suoi danni. Ma da parte di chi? Forse di chi era stato accusato di complicità da parte del marciatore? Ieri Schwazer, Donati e l’avvocato hanno parlato prima di minacce, poi di strani messaggi, di inviti a desistere, addirittura di suggerimenti di non vincere la gara del grande ritorno. Nomi però non ne hanno fatti. Troppo facile, così. Alla fine restano solo i fatti, le provette. Che brutta storia. Una stori sbagliata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA