Salute e diritti/ Ma il bene collettivo è una competenza esclusiva dello Stato

di Cesare Mirabelli
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Martedì 5 Settembre 2017, 00:03
Ci si poteva attendere che le nuove norme sulle dieci vaccinazioni obbligatorie per prevenire malattie infettive trovassero difficoltà applicative. Non tanto per la prevedibile resistenza. La prevedibile resistenza di quanti coltivano il pregiudizio, in contrasto con evidenze scientifiche, che le vaccinazioni aprano a rischi certi mentre apportino incerti benefici. Quanto piuttosto per la difficoltà di dare ordinata esecuzione, nell’impatto organizzativo in particolare con le istituzioni scolastiche, destinate a verificare l’adempimento di un obbligo che condiziona l’inserimento nelle loro comunità. 

Il numero dei bambini che frequentano servizi educativi e scuole dell’infanzia, e degli studenti delle scuole primarie e secondarie, si approssima complessivamente ai nove milioni. Per i primi la scadenza degli adempimenti ai quali sono tenute le famiglie è il 10 settembre; per i secondi il 31 ottobre. Le nuove norme sono divenute definitive il 31 luglio, con l’approvazione della legge che ha convertito e modificato il decreto legge che le ha introdotte il 7 giugno.
La circolare congiunta dei Ministeri competenti, della Sanità e dell’Istruzione, che ne orienta e organizza l’applicazione, è del 10 settembre. Basta tener presente il numero di soggetti coinvolti, gli adempimenti richiesti e la ristrettezza dei tempi per provvedere, per comprendere che confusione e difficoltà applicative non sarebbero mancate.Tanto più in una materia che tocca aspetti particolarmente sensibili, che riguardano la salute infantile ed i rapporti delle famiglie conle istituzioni sanitarie e scolastiche, e che rendono necessaria, più che opportuna, una informazione tempestiva e corretta ed una formazione meglio affidata al colloquio con il medico di fiducia. 

Nulla di nuovo, si direbbe, nel panorama nazionale: quasi sempre il massimo sforzo è quello di creare norme, confidando o illudendosi che l’intendenza seguirà. Nel nostro caso la circolare attenua le difficoltà, consentendo le autocertificazioni e, per chi non è ancora vaccinato o lo è solo per alcune delle dieci vaccinazioni obbligatorie, di mostrare all’istituzione scolastica entro la prima scadenza di averne fatto richiesta al servizio sanitario e di completare la procedura entro il 10 marzo. Si confida, ancora una volta, che le aziende sanitarie siano in grado di eseguire nei tempi previsti le prestazioni sanitarie richieste e i relativi adempimenti amministrativi.

Da qui nasce qualche immancabile intervento regionale, come la determinazione della Lombardia di prorogare di quaranta giorni i termini per la presentazione della documentazione negli asili nido, o quella del Veneto, che oltre contestare la legge ricorrendo alla Corte costituzionale, ha sostanzialmente disposto un proprio regime transitorio per i tempi di applicazione alla scuola dell’infanzia. Mentre è contrapposta la posizione governativa, che considera illegittime deroghe regionali alla legge statale. 

Può apparire una questione marginale, non di sostanza ma di date. Eppure offre l’occasione per ricordare alcuni elementi che riguardano sia il fondamento della obbligatorietà delle vaccinazioni, sia le competenze statali e regionali. 

Nessuno negherebbe che la protezione della salute sia un diritto dell’individuo. La costituzione, nel qualificarlo come “fondamentale”, aggiunge anche che la sua tutela è “interesse della collettività”. La prevenzione vaccinale delle malattie infettive ha questo doppio obiettivo: proteggere la salute di chi si sottopone alla vaccinazione, rendendolo immune, e allo steso tempo proteggere la collettività dalla diffusione delle malattie e possibilmente debellarle, come è avvenuto per alcune di esse. Interesse dell’individuo e interesse della comunità convergono, e quest’ultimo può giustificare che il trattamento sanitario, che prevedibilmente non causa un danno al singolo ma un beneficio alla collettività, sia reso obbligatorio dalla legge. Questa è una competenza esclusiva dello Stato, che determina anche quei termini e modalità del trattamento che integrano il livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale. 

Se la finalità che giustifica la obbligatorietà della vaccinazione è quella di impedire la diffusione della malattia infettiva, il cui focolaio non è circoscritto in un’area del paese, sarebbe illogico se il trattamento non fosse imposto in tutto il territorio nazionale o se fosse in alcune parti differito nel tempo. È vero che la tutela della salute è materia di legislazione concorrente, statale e regionale, ma la determinazione del termine nel quale effettuare le vaccinazioni rese obbligatorie è un principio fondamentale riservato alla legislazione dello Stato. 

Sarebbe davvero preferibile una razionale e comune analisi destinata a risolvere le difficoltà ed i problemi che può presentare l’applicazione della legge, dedicando le energie alla leale cooperazione, anziché al conflitto tra istituzioni.

 
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