Sacrificio Capitale/Il futuro negato da un rifiuto ideologico

di Virman Cusenza
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Giovedì 22 Settembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 08:11
Si può svendere il futuro di una grande città come Roma per un piccolo destino politico personale? Si può negare l’orizzonte, il sogno, la visione di una Capitale, soltanto per obbedire ad un partito anziché al bene dei propri cittadini?

È proprio quello che ha appena fatto il sindaco Virginia Raggi pronunciando il suo legittimo quanto sconcertante, incomprensibile, no ai Giochi di Roma 2024. Un niet preventivo addirittura alla possibilità che la città possa candidarsi ad ospitarli. Un altolà che, seppure annunciato già in campagna elettorale, definire ideologico sarebbe addirittura nobilitante. Perché viene pronunciato a dispetto dei suoi cittadini (anche coloro che la Raggi non l’hanno votata), con la pretesa di tutelarli.

Un no che in apparenza è figlio della propaganda di cui oggi appaiono impregnati i cinquestelle italiani: pauperista, assistenzialista, anticapitalista. Ma che in realtà nella versione cheap che ci è toccata in sorte si traduce in un “vaffa ideologico”. Uno di quegli insulti a cui ci hanno abituati i titolari della ditta a cui oggi Virginia Raggi, dismettendo i panni da sindaco e indossando quelli di militante, ha deciso di obbedire rincorrendo la propria salvezza personale di sindaco di una maggioranza scontenta e riottosa.

In realtà, si tratta di una operazione di maxi-svendita della città e del proprio ruolo, una di quelle dismissioni che lasciano senz’anima i protagonisti e impoverite le vittime (i romani). Davanti al bivio che l’attendeva - scegliere Roma o il suo movimento - la Raggi non ha avuto dubbi. 

Ha liquidato con qualche slogan il bene di Roma per potersi presentare alla festa di partito a Palermo, come una rivoluzionaria dura e pura che sa urlare i suoi no davanti a chiunque. Ha svilito la sua autonomia di sindaco per evitare l’incombente scomunica M5S nel caso non si fosse allineata al verbo grillino (specie dopo il disastroso esordio dei primi tre mesi in Campidoglio). 

Ma sullo sfondo in questa gigantesca operazione a perdere, c’è una incomprensibile occasione mancata rispetto ai principi cinquestelle. Proprio in nome della trasparenza, di quella società civile che esprime la comunità a cui il movimento si è sempre richiamato, su un grande evento come i Giochi c’era la possibilità di declinare i valori M5S: far diventare il totem qualcosa di reale. Realizzare un grande progetto che può migliorare la città, gestendolo a proprio modo con inflessibili criteri di rigore. E davanti all’obiezione che anche altre grandi città avrebbero già detto no ai Giochi, la risposta è semplicissima: si tratta di metropoli mai candidate e già note per la loro efficienza e per le invidiabili infrastrutture. Non di una Capitale che ormai per molti aspetti primeggia per non invidiabili primati mediorientali. 

In fin dei conti, la Raggi non ha vinto proprio su quell’onda dell’indignazione popolare contro Mafia Capitale? Proprio per la richiesta di discontinuità rispetto a quell’andazzo decennale? Quella doveva essere la premessa, non la zavorra che inchioda la giunta di oggi ad un passato da non replicare mai più. E quale garante migliore di colei che è stata eletta in virtù di quei principi?

Ecco, ciò che non appare comprensibile è il no a dispetto. Se si ritiene che la virtù delle proprie idee stia proprio nell’avvantaggiare chi è svantaggiato, non c’è miglior occasione per esibire agli elettori il trofeo di risorse per la Capitale (che senza le Olimpiadi non ci saranno), anziché sventolare lo scalpo di Roma ad un raduno di iscritti.
Insomma siamo alla negazione del futuro, che condanna la città, e del buon senso. Al trionfo del presentismo che è l’opposto della memoria e della storia.

Questa città ha nutrito il suo orizzonte proprio grazie alla grandezza del suo passato, perché inchiodarla dunque ad un presente che è fatto di degrado e declino e dal quale si può uscire solo con grande disegno a beneficio esclusivo della collettività? Ma il dado ormai è tratto. E Roma verrà ricordata come la città in cui un no dal suo palazzo più antico le strappò il sogno di rigenerarsi. Il brusco risveglio però ci impone un realismo: verificare se almeno l’ordinaria amministrazione, in nome della quale si è voluto affondare un progetto straordinario, sarà garantita. Saremo qui a controllarne i risultati.
 
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