Padova, respinta da ventitré ospedali: «La mia odissea per abortire»

Padova, respinta da ventitré ospedali: «La mia odissea per abortire»
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Mercoledì 1 Marzo 2017, 05:03 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 09:16
«Mi domando che senso abbia promuovere una legge per dare diritto di scelta e poi non si mette nessuno nelle condizioni di farlo. Lo trovo offensivo, inutilmente doloroso. Io il colloquio con lo psicologo l'avevo già fatto, avevo chiarito le mie motivazioni, i conti con me stessa li avevo già chiusi, tu struttura pubblica dovevi darmi garanzia dell'applicazione della normativa».

Lei è Giulia, la chiameremo così, 41 anni, libero-professionista padovana. Mamma per due volte. La terza no, ha deciso diversamente. La legge 194 lo consente. Ma è la realtà a mettere i bastoni tra le ruote. Tanti, troppi. «Ho vissuto un'odissea, a peste si è aggiunta peste: la mia è stata una scelta compiuta a malincuore ma per attuarla ho dovuto contattare 23 ospedali, e alla fine di questo girovagare sono tornata al punto di partenza».

E' metà dicembre quando la donna scopre di essere incinta, le direttive impongono di procedere all'ivg entro i primi novanta giorni. Giulia è avanti, al secondo mese abbondante. Il tempo stringe. «Uso la spirale, mai e poi mai mi sarei aspettata una nuova gravidanza. Quando ho visto l'esito del test sono caduta dalle nuvole». All'ospedale di Padova, la sua città, le dicono che non c'è posto, gli obiettori sono numerosissimi (intorno al 95% anche se dati ufficiali non esistono), le consigliano di rivolgersi altrove. Giulia tenta con i nosocomi di provincia. Uno, due, tre, dieci, quindici.

«Ho chiamato Camposampiero ma qui mi hanno rimandato a Cittadella dove hanno detto che per competenza loro non possono, poi Schiavonia, Piove di Sacco. Ormai il tempo incalzava, per di più eravamo a ridosso delle festività di Natale e la cosa non aiutava».

Stremata, Giulia contatta 23 strutture ospedaliere. «Dopo aver provato con tutte quelle del Padovano, ho passato a tappeto il Vicentino e il Veneziano, compreso Chioggia e Portogruaro, quindi Rovigo, Verona. Ho tentato anche Trieste, Bolzano. Le risposte erano le più disparate: non ce la facciamo, siamo già al limite, non riusciamo a stare nei tempi, ci sono le vacanze, sono tutti obiettori, c'è un solo medico che viene ogni tanto e siamo pieni, doveva muoversi prima, deve risolvere la questione con la sua Ulss di competenza, il problema non è solo trovare un medico ma anche un anestesista non obiettore di coscienza, è un lavoro d'équipe, non siamo nelle condizioni di... C'è chi mi ha risposto con cortesia, altri con la supponenza di chi dà un giudizio non richiesto su un'esperienza che non conosce».

Sempre più isolata e disperata, Giulia contatta la Cgil. «Non potevo condividere il mio dramma con amici e parenti. Sapevo che il sindacato ne aveva sempre fatto una battaglia per l'applicazione di un diritto. Solo loro mi hanno dato una mano a sbloccare la situazione, peraltro all'ospedale Padova, la prima struttura dove mi avevano detto che non c'era posto». A gennaio la svolta, Giulia abortisce poco prima dello scadere dei fatidici novanta giorni. In bocca le rimane una grande amarezza, nella mente una sofferenza e un'incertezza impresse a fuoco. «Non dimenticherò mai la mancanza di professionalità e di umanità che ho vissuto sulla mia pelle. Anche chi si è prodigato per me, perché in alcuni ospedali ho trovato persone comprensive, ha allargato le braccia confessando di non sapere da che parte girarsi».