Raid Usa in Libia, il generale Camporini: «Obama mi ha sorpreso, ma la scelta è dovuta»

di Marco Conti
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Mercoledì 3 Agosto 2016, 08:52
«Obama mi ha sorpreso, ma la scelta è dovuta». Vincenzo Camporini, ex capo di Stato Maggiore della Difesa e attuale vicepresidente dell'istituto Affari Internazionali, plaude all'intervento americano in Libia, ma esclude un nostro intervento diretto.

Generale, basterà bombardare alcuni obiettivi su Sirte per sconfiggere i jihadisti?
«Da settimane è in corso a Sirte una battaglia che il governo di Serraj sta conducendo contro le forze dell'Isis. E' noto che le guerre urbane sono le più difficili e sanguinose soprattutto se non si utilizza lo spazio aereo. Chi lo può fare si trova in situazione di grande vantaggio e può accelerare in modo significativo le operazioni. Bene ha fatto quindi Serraj a chiedere supporto».

Un po' tardi non crede?
«Sotto il profilo politico il cambio è importante visto che sino a qualche giorno fa i libici rifiutavano categoricamente qualunque concorso di forze militari di altre potenze. Evidentemente Serraj ha ritenuto che l'andamento della battaglia richiedesse questo coinvolgimento e gli Stati Uniti sono intervenuti. Sorprende che nell'attuale fase storica del suo mandato Obama decida di fare una operazione di tal genere seppur la scelta è logica e razionale. Sui tempi hanno influito ragioni esclusivamente politiche».
 
Servirà a Serraj per rafforzare il suo fragile governo?
«Serraj combatte su due fronti. Contro l'Isis e per conquistare una sorta di supremazia politica nella complicatissima galassia libica dove il suo principale oppositore si chiama Haftar un generale che è impegnato militarmente in modo prevalente a Bengasi dove però non riesce ad avere la meglio sulle milizie che gli si oppongono. E' chiaro che una vittoria di Serraj a Sirte conferirebbe al suo governo una credibilità anche militare che lo metterebbe in una situazione estremamente favorevole anche dal punto di vista politico rispetto ai suoi competitor interni».

Perché i libici hanno chiesto di intervenire agli americani e non a noi o agli europei?
«Non so se l'abbiano chiesto solo agli americani o anche ad altri. Probabilmente non lo hanno chiesto ai francesi visto il supporto che hanno dato alle truppe di Haftar. Certamente gli americani hanno tutti i mezzi per poter sostenere l'intervento ed individuare, con una precisione millimetrica, le posizioni più delicate dei jihadisti».

L'intervento americano mette in dubbio il ruolo guida che l'Italia ha sempre rivendicato nel rapporto con la Libia?
«Quel ruolo l'ho sempre interpretato come ruolo politico. Personalmente sono stato sempre molto scettico su un nostro intervento diretto sul terreno. Vista la situazione politica in Italia non credo che ci sia anche adesso spazio per una nostra iniziativa più attiva, ma non vedo però delle contraddizioni o dei rischi per l'Italia nei rapporti con la Libia. Se fossero gli inglesi o i francesi ad intervenire mi preoccuperei, ma con gli americani non c'è da allarmarsi perchè non c'è competizione».

Qualcuno sostiene che la nostra posizione un po' defilata mette al riparo il nostro Paese da possibili attentati. Ci Crede?
«Assolutamente no. Non penso ci sia correlazione tra gli interventi contro il Daesh in Libia, Siria e Iraq e una recrudescenza del terrorismo in Europa. Sono fenomeni che hanno origini diverse e sono anche convinto che Isis sia molto rapida nell'appropriarsi di qualunque evento che accade in Europa».

Quindi non interveniamo solo perché sinora nessuno ce lo ha chiesto e se anche lo facesse il governo dovrebbe sottoporre la richiesta al Parlamento con tempi non certo brevi
«Nel nostro sistema giuridico qualunque intervento militare deve essere posto al vaglio del Parlamento attraverso un'esplicita autorizzazione. Diverso è per l'uso delle basi (Sigonella o Aviano ndr) il cui impiego deve essere autorizzato dal governo».
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