Strage in Puglia, pericoloso processo di imitazione dei metodi mafiosi

di Isaia Sales
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Venerdì 11 Agosto 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:03
Nel mondo degli studi ci sono state sempre notevoli perplessità nel considerare vera e propria mafia le varie forme di criminalità organizzata che hanno contraddistinto negli ultimi decenni il panorama delinquenziale in Puglia. Intanto, come ricordava Carmelo Bene, non esiste la Puglia, ci sono le Puglie, territori uno radicalmente diverso dall’altro, senza un grande centro di attrazione e di unificazione (nel campo criminale come in altri) come lo sono stati nel tempo Palermo e Napoli. La città di Bari non ha avuto questa funzione aggregante, e la più solida organizzazione criminale nata in Puglia, cioè la Sacra corona unita, si è sviluppata nel Salento, nelle province di Lecce, Brindisi, e Taranto, e solo con qualche propaggine nel capoluogo e nel suo hinterland. Dunque, la Sacra corona unita non rappresenta tutta la criminalità pugliese, ma solo una parte; e più che “quarta” mafia, va considerata una mafia del tutto anomala, così come la definisce Andrea Apolonnio, autore del più aggiornato studio sul fenomeno con il libro “Storia della sacra corona unita” (Rubbettino, 2016). Ci sono infatti altre forme criminali del tutto autonome rispetto alla Sacra corona, quali la criminalità foggiana e soprattutto quella garganica, il cui maggiore esponente è stato ucciso nell’agguato dell’altro giorno a San Marco in Lamis assieme al cognato e a due testimoni involontari.

E’ evidente che la violenza più bruta non è monopolio solo dei mafiosi: anche dei criminali comuni (o delle singole persone) possono essere protagoniste di azioni violente più ferine di quelle a cui ci hanno abituato gli affiliati alle mafie. Ma per compiere un agguato come quello dell’altro giorno ci vuole una solida organizzazione alle spalle e una “ratio criminale” spietata per decidere di ammazzare immediatamente dei testimoni innocenti. Ma se mafie non sono, cosa sono allora? Rocco Sciarrone ricorda che in una relazione del 1994 della Commissione antimafia (presieduta da Luciano Violante) la Puglia viene considerata una regione a tradizionale insediamento mafioso, al pari di quella siciliana, calabrese e campana. Già nel 1991 la Corte d’Assise di Lecce aveva applicato il 416 bis ai membri della Sacra corona. Ci sono riscontri storici per questa valutazione? Cioè esiste quella “lunga durata storica” che negli studi (più che nella giurisprudenza) segnala una delle caratteristiche dei fenomeni mafiosi? Roberto Aquaro ci informa che nel 1893 si svolse a Taranto un maxiprocesso a carico di oltre cento imputati, “una larga associazione di malfattori, fornita dei suoi bravi statuti e regolamenti, dell’elenco degli affiliati”, caratteristiche queste tipiche della mafia. Monica Massari, altra importante studiosa della criminalità pugliese, ritiene che nella Sacra corona sarebbero stati introiettati chiari segni di un associazionismo segreto che affonda le proprie origini nella seconda metà dell’Ottocento. Mentre per Maurizio Fiasco il nome “Sacra corona” sembrerebbe echeggiare riferimenti al sanfedismo filoborbonico dei briganti del dopo Unità d’Italia che in Puglia assunse forme organizzate e violente davvero notevoli. Insomma fenomeni di tipo mafioso o proto mafioso sono riscontrabili nella Puglia ottocentesca.

D’altra parte anche alla ‘ndrangheta calabrese era stata negata qualsiasi precedente ottocentesco, salvo poi a verificare che il primo annullamento di una elezione comunale per “una utilizzazione politica di elementi mafiosi nella lotta amministrativa” avvenne proprio a Reggio Calabria nel 1869. E già nella seconda metà dell’Ottocento la ‘ndrangheta utilizzava la festa della madonna di Polsi da parte per i propri summit annuali. Se per l’espansione della camorra napoletana sono stati fondamentali il contrabbando di sigarette e il terremoto del 1980, per la criminalità pugliese è stato altrettanto importante il contrabbando di sigarette (dopo l’interruzione degli sbarchi sulle coste tirreniche e la scelta di farli su quelle pugliesi) e l’apertura degli orizzonti delinquenziali dopo la fine del comunismo sull’altra sponda dell’Adriatico. La Puglia diventa in quel periodo terra di conquista per le altre mafie: arriva la camorra napoletana nel foggiano, la mafia siciliana attorno a Fasano e la ‘ndrangheta calabrese nel tarantino. La ‘ndrangheta dà vita a sequestri di persona sul territorio pugliese, ben 25 tra il 1974 e il 1983. Fino al punto che la nascita ufficiale della Sacra corona nel 1983 da parte di un ex rapinatore di banche, Pino Rogoli, avviene come risposta alla prepotenza dei “forestieri”, in particolare dei “comparielli” di Cutolo, numerosissimi nella carceri pugliesi. Ma il processo di occupazione mafiosa mette in moto anche un processo di “imitazione”( da parte della criminalità locale) dei metodi mafiosi. La colonizzazione comporta come effetto non desiderato la nascita di organizzazioni del territorio, autoctone, che provano a mettere a frutto il metodo criminale appreso. Insomma, nel caso pugliese, è evidente come fattori esterni si siano mischiati a fattori locali, influenzando un contesto delinquenziale già pronto al salto. Sta di fatto che molte organizzazioni pugliesi hanno utilizzato i rituali della ‘ndrangheta, che a loro volta copiavano i rituali della camorra napoletana ottocentesca.

Questi rituali sono riscontrabili nello splendido romanzo di Giannrico Carofiglio “L’estate fredda”.
Da notare che le organizzazioni criminali si consolidano nel periodo più dinamico dell’economia pugliese, quando questa regione a metà degli anni ottanta si afferma come la regione meridionale (assieme all’Abruzzo) con i più alti tassi di crescita economica e produttiva. A dimostrazione, ancora una volta, che le mafie non sono espressione di arretratezza ma al contrario aggrediscono la ricchezza laddove maggiormente si produce. Come sta avvenendo in questo periodo nel Centro-Nord. Resta da spiegare la spietatezza della criminalità garganica che unisce un’arcaicità legata ai furti di bestiame in montagna alla totale spregiudicatezza nell’uso della violenza. Faide lunghissime, vendette senza tempo, ma sempre legate alla terra, al suo possesso, al suo sfruttamento. Se la Sacra corona può essere definita “mafia marina” per la sua propensione agli scambi criminali via mare con l’Albania e il Montenegro, la mafia garganica è più terragna, un qualcosa di misto tra il modello pastorale violento della Sardegna e quello delle terre del latifondo siciliano. Un Medioevo che si rinnova.
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