Partire o restare, il dilemma degli sfollati «Ma se scelgo l'hotel qui non ci torno più»

Partire o restare, il dilemma degli sfollati «Ma se scelgo l'hotel qui non ci torno più»
di Renato Pezzini
5 Minuti di Lettura
Giovedì 22 Settembre 2016, 08:42 - Ultimo aggiornamento: 23 Settembre, 09:14

dal nostro inviato
AMATRICE
Un temporale lungo e cattivo all'ora di pranzo ufficializza la fine dell'estate. Ma non occorreva un acquazzone per annunciare l'inizio dell'autunno visto che sotto le tende di Arquata del Tronto la «brutta stagione» è arrivata da giorni, e non per via delle temperature. L'inverno che verrà abita i pensieri e popola i discorsi, la prospettiva di notti sottozero e di albe intirizzite nutre le incertezze. Restare o partire? Sono passati i responsabili del Comune nelle tende, hanno detto che il campo sarà smantellato: «Dovete scegliere».

 
 
I PENSIERI
Per molte settimane il terremoto è stato morte, macerie, l'efficienza dei vigili del fuoco, le emergenze, i racconti di quella notte bestiale, i lutti, il sorriso dei volontari, la solidarietà dei sopravvissuti, io do una mano a te, tu dai una mano a me. E poco, pochissimo tempo per pensare. Adesso che i rumori si sono attutiti e le ruspe hanno fatto un po' di pulizia si scoprono le altre lacerazioni lasciate dal sisma. Ferite profonde di chi finalmente riesce a guardarsi dentro e scopre di aver perso, oltre alla casa e agli affetti, le certezze.

IL BAR CICCIO
Tino e la moglie stanno dietro il bancone del bar Ciccio, l'unico che ha riaperto ad Arquata. Sono venuti da Roma cinque anni fa «per regalare la libertà ai nostri figli». A Tino la grande città stava stretta, qui ha cominciato a respirare. Ora il terremoto ha rivoltato tutto: «Se vado via, non so se tornerò». Partire significa una camera d'hotel sulla costa e magari la prospettiva di cominciare da capo laggiù, restare vuol dire una casa in affitto in zona e notti agitate dall'incubo di nuove fughe nel buio in un paese in via di spopolamento. «Boh?».
Sotto un grande tendone bianco i bambini vanno a scuola, le telecamere si accendono: ecco la vita che ricomincia. Simone, 7 anni, sulla prima pagina del quaderno di religione ha disegnato una cornice dentro cui ha scritto nome, cognome, classe. E sotto la cornice una data: 24 agosto, ore 3,36. Così, senza spiegazioni. Come se l'ora esatta della scossa fosse l'inizio di tutto. O la fine di tutto. Le maestre Antonella, Liliana e Stefania ne parlano: «È difficile, sa? Non sempre riusciamo a capire che segno ha lasciato in loro, come sono cambiati».

SULLA PANCHINA
Anche gli adulti faticano a capire cos'è cambiato in loro. Se sono anziani stanno per lo più seduti su una panchina di fronte alla tendopoli. Poche parole in mezzo a lunghi silenzi. Giuseppe Zega si porta dietro una valigetta con l'ossigeno, e le cannule nel naso. Abitava a Campagnano Romano «e da quando sono venuto a stare qui non mi sono più ammalato». Lui nella tenda non ci vuole più stare. In un albergo di Porto Ascoli non saprebbe che fare. In una casa in affitto avrebbe paura. «Decidano i miei figli per me». Ma i figli non hanno deciso.

LA STALLA NON C'È PIÙ
C'è chi non sa se vuole restare. E c'è chi, pur volendolo, non sa se potrà restare. Per trovarli bisogna cercarli lontano dalla «routine delle tendopoli». A Faizzone, frazione di Amatrice, Aldo Guerrini tiene a bada 19 mucche da latte che bivaccano in un prato da trenta giorni, da quando la stalla è venuta giù. Più inquiete del solito, meno generose di latte. Il padre di Aldo allevava mucche, il nonno di Aldo allevava mucche. «Io voglio continuare a farlo, è la mia vita. Ma non so se ci riuscirò». Le sue bestie sono delicate, hanno bisogno di calore e di mungiture regolari: «Se non mi danno una stalla entro gli inizi di novembre dovrò venderle, andare altrove, cambiare vita». Dorme in una tenda da campeggio col padre «perché le mucche hanno bisogno di attenzione giorno e notte». Va a raccogliere il fieno col trattore. E aspetta. Sono venuti il ministro Martina e la Coldiretti, hanno assicurato che la stalla arriverà, e anche un container dove potrà dormire al caldo. Però l'inizio di novembre è lì, vicino da morire. E se le promesse rimarranno promesse ciao, fine di tutto.

IL CONTO ALLA ROVESCIA
Sono più di un centinaio gli allevatori della zona. Tutti decisi a rimanere. Ma tutti costretti - come Aldo - allo stesso conto alla rovescia. Quelli della zona di Amatrice dormono nella tendopoli di Sant'Angelo (frazione di trenta abitanti e undici morti) che non a caso non registra cali di presenze, anzi. Erano ottanta la seconda sera dopo il terremoto, adesso sono un centinaio. Se alla fine saranno costretti ad andarsene sarà una grave perdita per loro, ma anche per la già sgangherata economia di questa valle.
Si vive così, cercando di «farsene una ragione» e «ragionando sul da farsi». Provando a resistere mentre le gambe cedono. Elsa Terribile e il marito hanno accettato il diktat del sindaco di Accumoli, hanno preso casa ad Ascoli, e tutti i giorni vengono su, nella tendopoli, perché in città non sanno cosa fare, «qui si mangia in compagnia e c'è sempre qualcosa di cui parlare». Solo che nella tendopoli sono rimasti diciotto reduci in attesa di smistamento. Poi tutto sarà smantellato ed Elsa, il marito, e tutti gli altri pendolari della nostalgia non avranno più un posto dove ritrovarsi.

L'UNITÀ ABITATIVA
Dicono che ad aprile o maggio saranno pronte le casette di legno, e la vita potrà ricominciare davvero. Chi ci crede e chi non ci crede: «E comunque, ricominciare cosa?» bofonchia Marco Acquistucci. «Se qui la vita finisce per sette mesi rischia di finire per sempre». E ancora sta lì, brandendo un ombrello a mo' di scimitarra, tormentato dall'indecisione, restare o partire. Ha chiesto di rimanere, gli hanno detto che tutt'al più gli daranno una «unità abitativa» solo per lui. La metterà nel prato sotto casa, starà lì, da solo, tutto l'inverno, aspettando che passi il peggio. O forse no. «Forse andrò via anch'io. Ma per fare che?».