«Delinquente abituale»: due anni di casa lavoro per il boss Rocco Papalia

«Delinquente abituale»: due anni di casa lavoro per il boss Rocco Papalia
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Martedì 10 Luglio 2018, 19:01
MILANO Per il «padrino di Buccinasco» la libertà vigilata non è abbastanza. «Versa nelle condizioni per essere dichiarato delinquente abituale», ritiene il tribunale di Sorveglianza di Milano. Che ha accolto la richiesta della Procura: due anni di misura di sicurezza detentiva in una casa lavoro per Rocco Papalia, considerato uno dei più importanti capi della ‘ndrangheta al nord.
VENT’ANNI DI ATTIVITA’ DELINQUENZIALE
Scarcerato a maggio 2017 dopo 26 anni di detenzione, anche dopo l’espiazione della pena - scrive nelle motivazioni il magistrato di Sorveglianza Ilaria Mauopil - Papalia «non ha saputo dimostrare una presa di distanza dall’ambiente deviato» in cui sono maturati i suoi delitti, è stato «lontano dal rinnegare i legami con gli affiliati alla consorteria mafiosa di appartenenza» e, «lungi dall’esprimere sia un pur minimo segno di pentimento o di pietà per le vittime, si è limitato a riconoscere parzialmente le proprie responsabilità tentando di minimizzare il suo ruolo», nei sequestri di persona per cui è stato condannato o nell’omicidio che ha negato. Il «padrino di Buccinasco» era in libertà vigilata, tuttavia secondo i giudici va considerato un «delinquente abituale» per via della «incessante prosecuzione e progressione dell’attività delinquenziale palesata dalla commissione di crimini senza sostanziale soluzione di continuità nell’arco di circa vent’anni».
MAI DISSOCIATO DAL CLAN
Il magistrato, nel suo provvedimento, elenca anche l’alto numero dei reati commessi, «gravissimi e di elevato allarme sociale», che hanno portato a una pena pari a 96 anni e 8 mesi di carcere rideterminati in 30 anni e poi scesi a 27 per via dello sconto legato alla liberazione anticipata di cui ha goduto, poiché in carcere Papalia ha mantenuto una condotta «regolare». Eppure, rileva il tribunale, non ha dimostrato di essersi distaccato dall’ambiente criminale da cui proveniva e dunque «non è venuta meno la pericolosità intesa come probabilità di reiterazione del reato». Il giudice, oltre a sottolineare più volte la mancanza di «dissociazione» dal clan Papalia, ha elencato le varie violazioni delle prescrizioni legate alla libertà vigilata disposta dopo la suA scarcerazione e ha ritenuto ci siano i presupposti per accogliere la richiesta del pm Adriana Blasco di dichiararlo «delinquente abituale» e rinchiuderlo in una casa lavoro. «Faremo appello, perché a nostro avviso mancano i requisiti per applicare misura di sicurezza detentiva», affermato l’avvocato Annarita Franchi che con la collega Ambra Giovene assiste Papalia. «La sua famiglia è affranta per questa situazione nata dopo che lui ha espiato la pena», precisano i legali.
«LA PROCURA MI VUOLE MORTO»
Nell’udienza a porte chiuse davanti ai giudice, il 5 luglio scorso, il  boss ha protestato vivacemente contro la richiesta della pm Blasco: «La casa di lavoro è un carcere, io dico che la procura mi vuole morto, anzi la procura di Milano mi vuole morto».
Parole per le quali è stata chiesta la trasmissione del verbale al procuratore capo Francesco Greco per eventuali valutazioni. Papalia, in seguito, si è giustificato: «Ho avuto una reazione sproporzionata, ma avevo accumulato una tensione prolungata per l’attenzione della stampa nei miei confronti, che va avanti da quando sono uscito dal carcere». Il pm ha chiesto al giudice anche un supplemento di istruttoria su alcune discrepanze emerse nelle dichiarazioni rispetto a verbali già resi dall’imputato su due sequestri di persona per cui è stato condannato e la trasmissione degli atti in procura per due violazioni della libertà vigilata. Nell’udienza a porte chiuse Papalia ha spiegato che lo scorso 25 aprile non si è presentato alle forze dell’ordine per firmare, come al solito, «perché pensavo fosse domenica quel giorno, e la domenica non devo firmare». E quando è stato bloccato alla guida con la patente revocata, ha raccontato: «Ho fatto solo due chilometri per andare in farmacia, stavo male ed ero solo in casa».
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