Pace dalle religioni, la svolta di Assisi

di Angelo Scelzo
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 21 Settembre 2016, 00:24
Per i cristiani parlare di pace ad Assisi, terra di San Francesco e con Papa Francesco è naturale come farsi il segno di croce. Si comincia dall’essenziale, anzi si ritorna all’essenziale a distanza di 30 anni da quell’incontro di pace che fu una delle grandi intuizioni di Giovanni Paolo II, nel pieno di una “guerra fredda” che solo tre anni dopo, con la caduta del Muro di Berlino, prendeva la strada degli archivi. Sepolta una formula, non è però resuscitata all’improvviso la pace, insidiata da più parti, sconfitta e perfino umiliata dall’insorgere di quella “guerra a pezzi” entrata di diritto nel vocabolario franco e spedito di Papa Francesco. Ma Assisi è l’altro nome della pace, la sua nostalgia perenne, che tanto più cresce quanto più nel mondo la parola passa alle armi e i luoghi di conflitto segnano a fuoco una triste geografia dell’odio e della violenza.

E della pace, non solo quella dei cristiani, Assisi è anche l’altare; e niente è più naturale, pensando alle infamie, o anche alle speranze della terra, che alzare gli occhi al cielo o almeno mettere qui da parte le parole che alla pace non sono servite. Non è qui, ha detto Papa Francesco, riprendendo 30 anni dopo Giovanni Paolo II, che si vengono a cercare, «risultati di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici». Il rischio è sempre quello delle mani vuote. E allora, nell’anno del Giubileo straordinario della Misericordia, sulla pace e sulla sua assenza, Francesco, pellegrino nella terra del Santo, ha ripreso il filo delle opere di misericordia, che sanno, sì, di tenerezza - dar da bere agli assetati - ma che esprimono, per chi se ne astiene, condanne dure e inappellabili. La sete, ancor più della fame, dice il Papa, è il bisogno estremo dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria. La sete è la pace che manca è «l’aceto amaro del rifiuto» offerto a tradimento a chi implorava una mano, «l’egoismo di chi è infastidito», la «freddezza di chi spegne il grido di aiuto con la facilità con cui si cambia un canale televisivo».

Toni da meditazione e l’eco solenne delle scritture, ma parole e gesti di chi vede, e non si stanca di segnalarlo, che sui banchi di una globalizzazione distorta e senza anima, c’è abbondanza di merce avariata e tale da mettere in pericolo finanche la pace. Il dato nuovo in un mondo che ha cambiato faccia, è proprio questo: la “guerra a pezzi” ha fatto crescere, diffondendola ben oltre i confini dei suoi territori avvelenati, la sterpaglia dell’estraneità e del disinteresse verso i destini dell’altro. È il dramma dei cuori spenti e inariditi che può avere in sé la forza sacrilega di una religione alla rovescia. E di fronte ai leader delle maggiori confessioni del mondo, Papa Francesco ha fatto ricorso a una formula estrema, il «paganesimo dell’indifferenza», per ammonire e scuotere, ma soprattutto per dare alla pace non la forza di un appello in più, ma il vigore di una reale conversione, testimoniata anche dalle parole non equivoche contro la minaccia terroristica.

Se è importante che le religioni riescano a parlare tra loro, (e a pregare insieme, e non contro, mettendo da parte, come ieri, le ambiguità sincretiste) è ancora più necessario che siano esse a indicare per prime a un’umanità smarrita che la pace è un orizzonte comune. Nella visione di Francesco, la pace che scuote, tanto più oggi, non può rimanere in silenzio a guardare l’angoscia di popoli, gli esodi forzati di vecchi e di bambini che non hanno conosciuto altro nella vita che la violenza. Né si può restare indifferenti di fronte a chi invece di condannare la guerra, si accanisce su quanti da essa cercano rifugio. E tantomeno all’implorazione di pace che viene dalle tante vittime dei conflitti. Lo spirito di Assisi non si è rifatto vivo solo per le immagini, i festosi e inusuali abbracci di pace scambiati sul podio davanti al sacro convento, i colori, o le suggestioni che hanno riportato al passato: mai un’assemblea ecumenica e interreligiosa era stata così numerosa e rappresentativa; segno di un dialogo che ha fatto passi avanti e ha reso più consapevoli delle grandi responsabilità comuni.

È evidente che più ancora della pace è la guerra, particolarmente oggi sulla spinta perversa del barbaro fanatismo jihadista, a chiamare in causa le religioni. Non solo i conflitti ufficiali, ma tutto il grande ammontare della violenza del nostro tempo, a partire dal terrorismo, porta in vista la radice dei suoi totalitarismi, che sembrano ineliminabili e che rendono il tutto ancora più tragico. Assisi è la casa riconosciuta della pace dei cristiani, e questo nuovo incontro, promosso dalla comunità di Sant’Egidio, è l’ennesimo invito che la più grande di tutte le confessioni ha offerto a tutte le altre per respingere e svuotare di senso, tutte insieme, una formula, “guerra di religione”, che tutte insieme le condanna. Pace dalle religioni può essere invece la svolta di Assisi 2016. O almeno l’inizio di un nuovo cammino.
© RIPRODUZIONE RISERVATA