Cassazione, dare dell'omosessuale non lede la reputazione

Cassazione, dare dell'omosessuale non lede la reputazione
3 Minuti di Lettura
Martedì 29 Novembre 2016, 18:12 - Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 14:32
«Nel presente contesto storico» è da escludere che «il termine 'omosessuale'» abbia conservato «un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato nemmeno tanto remoto». Lo sottolinea la Cassazione spiegando che questa parola - diversamente da altri «appellativi» che invece mantengono un carattere «denigratorio» - è entrata nell'uso corrente e attiene alle «preferenze sessuali dell'individuo», assumendo di per sé «un carattere neutro» e per questo non è lesiva della reputazione di nessuno, anche nel caso in cui sia rivolta a una persona eterosessuale.

Con questa motivazione, la Suprema Corte - con la sentenza 50659 che cancella ogni pregiudizio dal significato della parola 'omosessualè - ha annullato senza rinvio la condanna per diffamazione inflitta il venti marzo del 2015 dal Giudice di pace di Trieste nei confronti di un uomo che aveva usato questo termine in un atto di querela rivolgendosi a un 'avversariò eterosessuale con il quale era in lite per motivi legati alla moglie nell'ambito di una causa non meglio specificata.

L'imputato di questa vicenda è un uomo argentino di settanta anni, Carlo Alberto Chichiarelli, noto alle cronache della capitale per vantare un credito di 13 milioni e mezzo di euro - soggetti a interessi e rivalutazione dal 1980 - dal Comune di Roma per l'enorme espropriazione dei terreni di Tor Bella Monaca appartenuti al conte Romolo Vaselli del quale è entrano nell'asse ereditario per via di una 'liaison' sentimentale. Contro la condanna penale pari a una pena pecuniaria di entità non nota, Chichiarelli ha fatto ricorso direttamente in Cassazione, saltando l'appello e sostenendo che la parola 'omosessualè ha ormai perso «qualsiasi carattere lesivo» nell'evoluzione «del linguaggio comune». «La tipicità della condotta di diffamazione - scrive la Suprema Corte - consiste nell'offesa alla reputazione: è dunque necessario che i termini dispiegati o il concetto veicolato, nel caso di comunicazione scritta o orale, siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto» al quale sono rivolti. Fatta questa premessa, i supremi giudici affermano che «è innanzi tutto da escludere che il termine 'omosessuale' utilizzato dall'imputato abbia conservato nel presente contesto storico un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato nemmeno tanto remoto». «A differenza di altri appellativi che veicolano il medesimo concetto con chiaro intento denigratorio secondo i canoni del linguaggio corrente, il termine in questione - prosegue il verdetto - assume un carattere di per sé neutro, limitandosi ad attribuire una qualità personale al soggetto evocato ed è in tal senso entrato nell'uso comune».

Inoltre, gli 'ermellini' escludono che «la mera attribuzione» della «qualità» di 'omosessuale', «attinente alle preferenze sessuali dell'individuo», abbia di per sé «carattere lesivo della reputazione del soggetto passivo e ciò tenendo conto dell'evoluzione della percezione della circostanza da parte della collettività».
Con parole chiare, la sentenza conclude dicendo che «il termine utilizzato non può ritenersi effettivamente offensivo» nemmeno se pronunciato o scritto con «intento denigratorio». Per l'ex combattente 'montoneros', pena annullata senza rinvio «perché il fatto non sussiste».
© RIPRODUZIONE RISERVATA