Omicidio Varani, i deliri di Foffo e Prato in carcere: «Che dicono gli amici?»

Omicidio Varani, i deliri di Foffo e Prato in carcere: «Che dicono gli amici?»
di Cristiana Mangani
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Domenica 11 Dicembre 2016, 19:41 - Ultimo aggiornamento: 12 Dicembre, 15:48

La richiesta di rinvio a giudizio arriverà prima di Natale. E il caso dell'omicidio di Luca Varani sarà in aula già all'inizio del nuovo anno. Gli accertamenti tecnici che si sono protratti oltre il tempo consentito, non hanno permesso al pubblico ministero Francesco Scavo di chiedere l'immediato, e così ora la palla passerà nelle mani delle difese. Manuel Foffo e Marco Prato si preparano a farsi la guerra, ad addossarsi ogni minima responsabilità, cercando di modificare un quadro accusatorio che porta dritto verso la pena massima. A meno che, come è probabile che accada, gli avvocati Michele Andreano e Pasquale Bartolo, ognuno per il proprio assistito, non chiedano il rito abbreviato, che consentirebbe la riduzione di un terzo della pena.

Intanto, la strategia difensiva e la psicologia dei due indagati emerge dalle intercettazioni avvenute in carcere, durante gli incontri con i familiari. Per Marco Prato c'è solo il padre a fargli visita. La madre no, non se la sente proprio «dopo quello che è successo». I due non fanno mai accenno alla vittima, perché Marco chiede soprattutto una buona assistenza legale. E poi la televisione, e tutto quello che possa mettere in luce i suoi problemi psicologici. «Chiama Franca Leosini - dice al padre - cerca di farla interessare al mio caso». Leosini è la giornalista di Rai 3 che è riuscita a intervistare, nel suo Storie maledette, i maggiori killer italiani.

 


LA LETTERA
L'ex pierre sembra vivere in una situazione di mezzo, ancora non cosciente di quello che ha commesso. «Controllate il mio facebook? E gli amici che scrivono?», chiede. L'unico accenno a Varani è quando racconta di aver ricevuto una lettera, regolarmente firmata, dover viene minacciato. «E' di uno che è andato al funerale di Luca - spiega al genitore - Dice che mi sta aspettando». E il padre commenta: «Dopo quello che è successo, perché le cose trovino un loro equilibrio ci vorranno anni».

Manuel Foffo ha spesso con sé il fratello, qualche volta il padre e la madre, che puntualmente respinge, trattandola male. Ma la sua vita in carcere è fatta di umori altalenanti. E mentre la famiglia cerca soluzioni e vie d'uscita, lui passa dal disorientamento alla confusione, dalla presa di coscienza alla disperazione. Suicidio, lo ripete spesso, e il fratello gli dice cose assurde sulla vittima per indurlo a ripensarci. «Non fare sciocchezze - cerca di convincerlo - io non ce la faccio a sopportare anche questo, la mia vita sarebbe totalmente rovinata». Ma il vero tarlo del detenuto Foffo è il pensiero di essere considerato un omosessuale. E non è solo un problema di accettazione di una sessualità diversa da quella etero, è il centro di tutto, è l'unica ragione. «Vuoi che ti dica la verità? - si sfoga con il fratello - a me non me spaventa famme il carcere, sinceramente...me spaventa...sicuro, che dovrò anna' a discute, perché se a me qualcuno me dice fr... Ormai me considerano così in tutta Roma. Forse sono più pronto per l'ergastolo che a essere definito un depravato o un deviato sessuale».
 

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