Migranti, banco di prova per il futuro dell’Unione Europea

di Biagio de Giovanni
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Sabato 15 Luglio 2017, 00:05
Per qualche migliaio di anni i problemi dell’Europa, quando superavano un certo limite, si risolvevano - o si immaginava che si sarebbero risolti- con una guerra. Francia e Germania erano in testa in questa classifica. Oggi, che questa “soluzione” è diventata impossibile, non bisogna sorprendersi che problemi vari si trascinino tra un vertice e l’altro senza che si intraveda il traguardo, quel traguardo che sarebbe rimasto magari conteso e aggiudicato tra i colpi di cannone. Si potrebbe aggiungere che, nel nuovo stato di cose, ogni traguardo sarà sempre provvisorio, un compromesso come si dice, un confine tra problemi che restano sospesi perché sospesa è la fisionomia dell’Europa, giacché tutte le idee che ne hanno formato la coscienza, quando era la potenza centrale del mondo conosciuto, si sono mescolate tra loro, e nessuna può avere egemonia sulle altre.

La sovranità è sempre sovranità, per quanti limiti le si vogliano porre; ma anche la sovra-nazionalità e addirittura il cosmopolitismo fanno parte della sua attuale coscienza, e anche queste idee hanno agganci in un passato lontano. E dunque in questo sospeso mescolarsi di idee non c’è da meravigliarsi che il cammino spesso appaia come quello dei ciechi, a tastoni e a secondo di congiunture e convenienze varie. E tutti a gridare: ma dove sta l’Europa? E si può capire pure che essa, per esistere, si attacchi a una regolistica la più formale e astratta possibile, per cercar di tenere sotto di sé mondi diversi, impresa sempre più difficile. Il tema dell’austerity, unica idea che pretende egemonia, insegni, con tutti i confusi e contrastati scenari che ne derivano. Si aggiunga che la prima grande crisi politica della globalizzazione, che non si è affatto placata, ha contribuito a rendere estremi problemi che apparivano sotto controllo, acuendo la difficoltà delle risposte.

Il caso dei migranti oggi domina su tutto per una ragione che ogni giorno diventa più chiara: l’interdipendenza globale ha reso fluidi i confini, interrotto frontiere rigide lungo le quali si decideva un destino; ha contribuito a creare una mobilità impensabile fino a qualche decennio fa, ed è stato infantile immaginare che essa riguardasse solo la libera circolazione di chi ne acquisiva il diritto, quando l’irrompere di mostruose crisi ,di guerre e di miseria e di fame, spingono addirittura parte di un continente a spostarsi in un altro. Ma nello stesso tempo le frontiere ci sono e anzi tornano attive quando sembrano apparire indiscriminatamente aperte. E ci sono ragioni legittime di questo ritorno: qualcuno dormirebbe tranquillo a casa propria immaginando la porta di casa aperta di notte? E così il tema dell’insicurezza domina su tutto e la paura torna a farsi viva. Si tratta di temi esistenziali che nessuna regolistica può assorbire, ma che implicano un livello superiore di coscienza che non si ritrova né nella risposta sovranista, chiudiamo i confini e tutto torna a posto, né nella risposta cosmopolitica e umanitaria, tutti formiamo il mondo unico di un amore che non deve avere confini. Due astrazioni, speculari e opposte. Due utopie di diversa natura. E allora? L’Europa, sul tema dei migranti, per ora sembra volersi trincerare dietro la regolistica la quale, pensata in tutt’altri momenti, non è più applicabile, pena una crisi drammatica dell’Unione stessa, e aggiungo che se l’Italia viene lasciata, e piegata, in una trappola ingovernabile, come oggi a ccade, tutta l’Europa perde di senso. Mi spiego. Naturalmente, la regolistica dice: l’Italia ha firmato Dublino e anche Triton, tutte cose che prevedono che nei Paesi di prima accoglienza si decida il destino di chi può restare e chi no. Nel frattempo si chiude la rotta balcanica in accordo con la Turchia, e tutto grava su chi la rotta non la può chiudere perché il mare è infinito, e il Paese di prima accoglienza diventa l’Italia, per un insieme di misurazioni di distanze marine.

A Ventimiglia la Francia, protetta dalla Commissione e dalle proprie ragioni, respinge il migrante di cui non si conosce il diritto all’eventuale permanenza. Tutto a posto. Le regole funzionano. L’Europa c’è. Ma come non si comprende che questo tipo di Europa non ha un destino? Non essendo capace di politica è capace solo di regole. Chi sa ora, dopo Macron, dopo le elezioni di settembre in Germania, chi sa. Forse inizia a farsi strada l’idea di una strategia globale che implica un rapporto intenso, a molte facce, anzitutto con l’Africa, sul suo continente. L’Italia balbetta in politica per le sue mille divisioni, per la inesorabile legge del tutto contro tutti, ma qui essa deve prender coscienza che è in gioco un destino. C’è qualcuno veramente consapevole di questo? 
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