La metafora di un Paese/ Grandi solo nelle emergenze

di Paolo Graldi
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Mercoledì 23 Agosto 2017, 00:05
'O miracolo, ‘o miracolo”, lo gridano i devoti quando nell’ampolla il sangue di san Gennaro si liquefà, il segno della speranza che si fa materia.

Lo stesso hanno gridato, a più riprese, di notte e di giorno, a Casamicciola, nel cuore del terremoto di Ischia: l’urlo laico che ha punteggiato la salvezza sofferta e drammatica dei tre fratellini, sepolti con i genitori tra le macerie della loro casa, frantumata dalla scossa. Ecco, è il salvamento dei tre bimbi in una estenuante diretta televisiva a reti unificate che diviene metafora italiana, nella quale rispecchiarsi, riconoscersi, rintracciare i propri visi e le proprie virtù. 

Sepolta sotto il tetto dalla scossa vigliacca e tremenda, sopraffatta dai mattoni di tufo sbriciolati nel tonfo e invasi dai calcinacci, avvolti nella nuvola tossica di polvere bianca questa famiglia, (padre Alessandro, madre Alessia incinta di cinque mesi e i tre figlioletti Pasquale, Mattias e Ciro, sette mesi, otto e undici anni), ha vinto la scommessa con la tragedia che incombeva ed è divenuta paradigma del buono che vince la malasorte. Uno ad uno i ragazzini, dal più piccolo al maggiore, durante una sequenza davvero impietosa della diretta senza fine, sono stati salvati da mani esperte ed instancabili. 

Mani di uomini del Corpo dei Vigili del Fuoco, angeli salvatori che nel silenzio spezzato solo dal rotolare guidato e cauto delle pietre rimosse per farsi largo nel cumulo di macerie, hanno saputo per quattordici interminabili ore farsi largo tra i detriti. 

Un miracolo laico, appunto, costruito con pazienza e con sapienza, dimostrazione di una perizia umile e instancabile, sorretta da una forza disperata e vincente. 

Sui volti di quegli uomini, quando tutto è finito ed anche Ciro ha raggiunto l’ospedale Rizzoli dove l’aspettavo i genitori, salvo e appena ammaccato dopo una notte terrificante in altalena con la morte incombente, su quei volti impolverati e sudati abbiamo letto la fatica e la gioia, in un miscuglio di orgoglio e di soddisfazione per l’opera compiuta. 

Una storia magnifica, indimenticabile, tra tanti drammi segnati dal lutto e dalla distruzione. Ma anche una storia che ci mostra le due facce di un Paese che sa meravigliare e riempirci di orgoglio, quasi mai prima e quasi sempre dopo. 

Siamo stupendi, esemplari nel cavarci dai guai, nel raccogliere tutte le risorse disponibili per compiere gesti che senz’enfasi dovremmo definire eroici, nel dimostrare una solidarietà solida, tangibile, indispensabile a risorgere. 

Gente come quella pattuglia di soccorritori, attorniata da colleghi altrettanto straordinari nella attiva partecipazione, ci commuove e ci esalta. Purtroppo viene sempre dopo, dopo il danno, dopo l’incuria, dopo il fatalismo che troppo spesso ci guida. Prima, prima del terremoto anche là dove è prevedibile che arrivi senza avvisare, prima delle alluvioni che giungono con implacabile regolarità, prima delle avversità naturali che ci trascinano nel fango senza lasciarci un insegnamento per il futuro. La metafora dei tre fratellini salvati dalle mani pietose ed esperte nella lunga notte della lotta contro il tempo dei vigili del fuoco ci mostra quanto il soccorso sia stato chiamato dopo l’incuria, la speculazione, le furbizie magari necessitate di chi vuole costruirsi una casa, magari abusiva in tutto o in parte, ma anche risparmiando sui materiali, sulle norme di sicurezza, sulle regole della prudenza e del rischio. 

A monte di tanti comportamenti ravvisiamo un male endemico che, localmente, dove cittadini e istituzioni sono vicinissimi e si condizionano a vicenda: il consenso. 

La ricerca politica del consenso si trasforma in complicità, in “lassa perde” che nessuno è tanto innocente da scagliare la prima pietra. 

Una politica condiscendente, ottusamente comprensiva, aperta alla deroga larga e diffusa: ecco il male che dilaga riducendo i trasgressori alla diffusa normalità. 

Todos caballeros. Tutti sulla stessa barca, finché non arriva l’onda che produce il naufragio e allora parte la ricerca delle colpe, delle responsabilità amministrative, politiche e penali. 

Un vizio antico e diffuso che riemerge ogni volta che la realtà ci porta il conto con gli egoismi praticati e accettati per quieto vivere. Quelle mani forti e delicate che hanno salvato i fratellini di Casamicciola ci mostrano che nel dopo siamo inimitabili. 

È il prima che ci fa difetto, purtroppo.
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