Mafia, 33 arresti a Palermo: sequestrati beni per un milione e mezzo

Mafia, 33 arresti a Palermo: sequestrati beni per un milione e mezzo
5 Minuti di Lettura
Martedì 31 Maggio 2016, 16:30 - Ultimo aggiornamento: 20:45
Minacce, intimidazioni, violenze. I boss di Cosa nostra del palermitano usavano i vecchi metodi per imporre il pizzo a commercianti e imprenditori. È quanto emerge dall'operazione 'Black cat' che all'alba di oggi ha portato all'arresto di 33 persone. Di rilievo, in particolare, l'estorsione perpetrata in danno di un imprenditore titolare di concessioni edilizie per la costruzione di alcune villette in contrada «Sant'Onofrio» di Trabia ( Palermo). In un'intercettazione captata durante una sorta di sopralluogo sui cantieri da parte dei sodali, uno degli indagati sottolineava espressamente che per «Questi... scavi qua davanti deve venire ancora a saldare il conto?...», «evidenziando in un'altra conversazione la possibilità di agire concretamente con atti intimidatori o altre azioni cruente ai danni dell'imprenditore per scoraggiare eventuali tentativi di resistenza», come dicono gli inquirenti.

E come emerge dalle intercettazioni: «Vedi quello che devi fare... deciditi... che se ci dobbiamo dare nelle corna... Incominciamo...». «La consumazione dell'estorsione in argomento, da parte degli esponenti della famiglia di Trabia, è stata confermata - oltre che dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali - anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia», spiegano gli investigatori. Un altro tentativo di intimidazione è stato rilevato nel comune di Termini Imerese ai danni di un'impresa edile impegnata nei lavori per la realizzazione di un istituto scolastico, accertando la collocazione all'interno del cantiere edile ubicato in contrada «Madonna della Catena» di una bottiglia in plastica contenente liquido infiammabile e di una scatola di fiammiferi poggiati su un escavatore. Uno degli autori materiali dell'atto, identificato in Antonino Fardella, nel corso della conversazione riportata, nell'indicare il cantiere, riferiva a Mario D'amico: «Eh... E lì è quello... quello che (incomprensibile)... Ci abbiamo messo la bottiglia...».

Anche sulle Madonie è stata rilevata la medesima modalità operativa per assoggettare le vittime. Infatti, le indagini hanno permesso di accertare le dinamiche alla base dell'atto intimidatorio perpetrato in danno di un'impresa, aggiudicataria dei lavori di riqualificazione dell'ex cinema «Trinacria» del comune di Polizzi Generosa. «In particolare, al fine di costringere il titolare al pagamento di indebite somme di denaro ed imporgli l'assunzione di manodopera, due degli indagati - Antonio Maria Scola e Pietro Termini - si sono resi responsabili della collocazione di una bottiglia di liquido infiammabile sugli automezzi nella disponibilità della citata ditta», dicono i magistrati. Altro tentativo di estorsione ha riguardato una ditta edile aggiudicataria di un appalto pubblico, per un importo complessivo di circa trecentomila euro, per la ristrutturazione di un immobile denominato «Ex Carcere», nel comune di Castelbuono. «Nel corso dell'attività investigativa è stato appurato che Antonio Giovanni Maranto e Antonio Maria Scola avevano dato incarico ad un esponente della famiglia mafiosa di Bagheria, di farsi consegnare dalla vittima - mediante minaccia consistita nel rammentare l'egemonia della famiglia mafiosa in quel territorio - una non quantificata somma di denaro a titolo estorsivo», raccontano gli inquirenti. «Diversamente, quando le vittime si sono mostrate non inclini ad assoggettarsi alle pressioni mafiose, gli affiliati hanno immediatamente riaffermato il potere sul territorio dell'associazione ricorrendo alle vie di fatto: questa è la chiave di lettura di quanto accaduto nel maggio 2012, nella contrada »Granza« di Sclafani Bagni, quando sono stati incendiati e completamente distrutti quattro trattori e un bobcat parcheggiati all'interno di uno dei capannoni dell'azienda di proprietà di due imprenditori agricoli».
 Vasta operazione antimafia nel palermitano, dove i Carabinieri hanno eseguito 33 ordinanze di custodia cautelare (24 in carcere e nove ai domiciliari).

I provvedimenti, emessi dal gip del Tribunale di Palermo, Fabrizio Molinari, su richiesta del procuratore Francesco Lo Voi, ipotizzano a vario titolo i reati di associazione mafiosa, estorsione, furto, rapina, illecita detenzione di armi, intestazione fittizia di beni e trasferimento fraudolento di valori, aggravati dall'agevolazione del sodalizio mafioso. Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai pm Sergio Demontis, Alessandro Picchi, Siro De Flammineis, Bruno Brucoli, Gaspare Spedale ed Ennio Petrigni, hanno consentito di delineare gli interessi di Cosa nostra nella zona orientale della provincia di Palermo - a partire da Bagheria sino ad arrivare ai confini delle province di Catania e Messina - e di ricostruire in maniera dettagliata i nuovi organigrammi dei due storici mandamenti di Trabia e San Mauro Castelverde. In particolare è stato documentato il ruolo di vertice ricoperto per il mandamento di Trabia da Diego Rinella, affiancato da Michele Modica, capo famiglia di Trabia, nella gestione operativa delle attività illecite e nei rapporti con le famiglie mafiose di Cerda, Caccamo e Termini Imerese.

Per il mandamento di San Mauro Castelverde da Francesco Bonomo, che poteva contare su diversi affiliati per il trasporto di pizzini e messaggi a reggenti e sodali delle famiglie di San Mauro Castelverde, Polizzi Generosa e Lascari. L'operazione ha dimostrato la riorganizzazione delle cosche mafiose in una vasta area della provincia, dopo gli arresti e le operazioni di polizia (ultima in ordine di tempo «Camaleonte III» del 2011) che ne hanno decimato le fila. In questi anni le indagini hanno fatto luce su incendi e intimidazioni nei confronti di imprenditori che si erano aggiudicati appalti o che volevano avviare nuove attività economiche di rilievo nell'area. Per proseguire l'attività, spiegano gli inquirenti, era necessaria la «messa a posto» con le buone o le cattive. I boss facevano ricorso ad intimidazioni dirette, con furti o danneggiamenti, quando gli imprenditori cercavano di resistere alle richieste di pizzo. Quattro le estorsioni ricostruite nel corso delle indagini: la prima ad un imprenditore titolare di concessioni edilizie per la costruzione di alcune villette in contrada «Sant'Onofrio» di Trabia. La seconda ad un'impresa edile impegnata nei lavori per la realizzazione di un istituto scolastico a Termini Imerese.

La terza ad un'impresa, aggiudicataria dei lavori di riqualificazione dell'ex cinema «Trinacria» del comune di Polizzi Generosa.
La quarta nei confronti di una ditta edile aggiudicataria di un appalto pubblico, per un importo complessivo di circa trecentomila euro, per la ristrutturazione di un immobile denominato «Ex Carcere», nel comune di Castelbuono. Se gli imprenditori non accettavano la messa a posto venivano incendiati i mezzi. Come nel maggio 2012, in contrada «Granza» di Sclafani Bagni, quando furono incendiati e completamente distrutti quattro trattori e un bobcat parcheggiati all'interno di uno dei capannoni dell'azienda di proprietà di due imprenditori agricoli. Anche le amministrazioni comunali erano nel mirino, come quella di Cerda, dove il 30 ottobre 2012 furono incendiate le autovetture dell'allora sindaco Andrea Mendola «colpevole» di non avere agevolato gli interessi e l'attività dei boss mafiosi. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA