LA CASSAZIONE
La decisione dei magistrati romani arriva di notte. E ribalta quanto aveva stabilito la corte d'appello di Palermo che bollò come inammissibile la richiesta di revoca del verdetto di colpevolezza. I legali, però, non si sono mai rassegnati e hanno impugnato in Cassazione la decisione. Quale sia il ragionamento fatto della Suprema Corte si comprenderà solo a motivazioni depositate. Per i legali, però, è chiaro che con questo provvedimento si dà piena esecuzione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che, due anni fa, aveva condannato l'Italia a risarcire Contrada. Per la Cedu, al momento dei fatti contestati all'ex poliziotto, la legge italiana sul concorso esterno in associazione mafiosa non era né certa né prevedibile. Solo nel 1994, con la sentenza Demitry, hanno scritto i giudici europei, il reato di concorso esterno contestato a Contrada era stato tipizzato. Pertanto, processarlo per fatti precedenti a quella data era stato illegittimo e illegittima la condanna. Una valutazione importante che però il no della corte d'appello di Palermo aveva fatto cadere nel vuoto.
LA REPLICA
Il verdetto della Suprema Corte non entra né sarebbe potuto entrare nel merito delle contestazioni. Non dice, cioè, che Contrada è innocente. «Quei fatti io non li ho commessi. Se fossi stato colpevole, visto il mestiere che facevo, avrei meritato la fucilazione per alto tradimento», ribadisce, però, l'ex poliziotto. Che conferma quanto va ripetendo da 25 anni: «Contro di me ci sono solo invenzioni di efferati criminali pagati dallo Stato, capaci di passare sopra al cadavere della madre pur di uscire di galera o accuse suggerite loro da uomini che neppure voglio definire». Il riferimento, è evidente, è ai collaboratori di giustizia che raccontarono delle sue frequentazioni con boss del calibro di Saro Riccobono. Ma la sentenza romana potrebbe costituire un precedente rilevante anche per altri casi: come quello di Marcello Dell'Utri, condannato a 7 anni per lo stesso reato, anche lui per fatti precedenti al 1994. E quello di Ignazio D'Antone, che con Contrada ha condiviso destino professionale - erano entrambi alla Mobile a Palermo - e processuale. Anche D'Antone fu condannato a 10 anni, per concorso esterno. Anche lui per condotte precedenti al 1994. E i pm sconfessati? «I fatti rimangono fatti, i rapporti di grave collusione con la mafia rimangono accertati nella loro esistenza e gravità», è la versione dell'ex pm di Palermo Nino Di Matteo, ora alla Dna. Gli fa eco Antonio Ingroia che, nel processo di primo grado rappresentò l'accusa e, appesa la toga di pm al chiodo dopo le sua controversa stagione, ora fa il legale: «La Cassazione di Roma, come già la Corte Europea dei diritti dell'uomo due anni fa, non ha certo riconosciuto che Contrada è innocente né tantomeno ha revocato la condanna definitiva a cui si è arrivati grazie a una convergenza di elementi solidissimi e accuratamente verificati». Il danno però resta. «Di fatto con questo verdetto il mio cliente è incensurato perché tutti gli effetti penali della condanna sono stati revocati», replica secco l'avvocato.